Rassegna Stampa

“L’imbroglio del clima tra ricchi e poveri”

Il racconto del dietro le quinte delle trattative

di Diletta Varlese

Nel giorno del giudizio, i veri interesso che stanno dietro alla faccia climatica del summit di Copenaghen cominciano a diventare evidenti. Un accordo che non arriva, il ritiro della bozza presentata alla presidenza danese, i G77 molto critici e preoccupati. Si paventa il fallimento del summit. Ma cosa avviene all’interno della sessione plenaria, in cui si decidono i destini del pianeta, e dove la stampa non può entrare?

Ecco il racconto di un delegato latinoamericano che sta seguendo i lavori e chiede l’anonimato: “Ciò di cui si sta parlando è prima di tutto una questione economica, politica ed ha a che fare con la governance mondiale. Questo è il maggior compendio di temi dell’agenda multilaterale internazionale degli ultimi 20 anni, dietro una facciata di salvaguardia dell’ambiente. Vale a dire, che stiamo usando i problemi del cambiamento climatico come alibi per stabilire un'agenda di interessi che sono delineati da parte del G20, il gruppo dei 20 paesi ricchi ed industrializzati del mondo. In tal modo si può ripianificare priorità mondiali, grazie alle quali Usa e Ue amplino la propria area d'influenza sui maggior i paesi in via di sviluppo. Da un lato, ciò implica potere economico in merito alle energie pulite, a favore di chi possiede sia la tecnologia che le patenti che il know how. Dall'altro, si stabiliscono delle regole di controllo politico che condizionino lo sviluppo futuro dei Paesi poveri. È un incontro che tocca tanti livelli trasversali della politica.

Un secondo delegato aggiunge: “Oltre ad accordi economici e politici, qui stiamo parlando di accordi militari. Una proposta di Usa e Ue è portare i problema del cambiamento climatico di fronte del Consiglio di sicurezza Onu, le cui conseguenze sono chiare ed esplicite. In primis sarebbe discusso da un Consiglio, ristretto e chiuso a pochi Paesi, e secondo si pensi alle conseguenze militari che porterebbe tale decisione. Ad ogni modo, vent’anni fa le grandi economie negavano il cambiamento climatico perché era controproducente al proprio sviluppo economico. A oggi invece hanno visto nella questione del clima una apertura attraverso la quale fortificare il proprio potere economico e politico. Ed è un ottimo mezzo per avere accesso alle risorse naturali attraverso il trasferimento di tecnologie, mascherandolo come un problema ambientale. A esempio: tutta la questione del mercato del Co2, ovvero pagare per avere il diritto d'inquinare, non fa altro che rafforzare le cause per cui siamo arrivati a questo livello. Chi può pagare sarà sempre e solo chi maggiormente inquina.

Voci di corridoio dicono che ci sono state manipolazioni anche in merito alla proposta su cui si dovevano basare le trattative. Questa è stata la dinamica propria di ciò che accade nell'assemblea. La presidenza della Danimarca vuole uscire da qui con dei risultati ambizioni in merito agli accordi sul clima. Ma ha scavalcato il processo di negoziazione e di lavoro per gruppi, che è lungo e richiede molti accorgimenti politici. La presidenza ha dunque cercato di procedere dando per assodato una bozza di lavoro che non era stata confermata dai più. Il gruppo del G77 se n'è accorto, ed ha smascherato il tentativo. Quando si parla di politiche per la mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, non si può avanzare senza la dovuta assistenza finanziaria e il trasferimento di tecnologie.

La Cina poi è stata presa come il capro espiatorio della riunione. Perché, se anche al momento il Paese ha lo stesso livello di emissioni degli Usa, non dobbiamo dimenticare che queste sono aumentate solo negli ultimi 10 o 15 anni. Mentre il danno all'atmosfera si calcola dal 1850, dalla rivoluzione industriale. Io credo che il punto sulla Cina abbia a che fare con limitare la usa crescita, ed è legato al sottofondo commerciale ed economico che sta dietro la conferenza.

In questo momento, per come sono pianificate le discussioni, non credo che il futuro del pianeta sia una delle priorità dei grandi leader mondiali. Credo piuttosto che, in un momento di post crisi 2008, stiano cercando di decidere come si riposizionarsi nell’economa mondiale”.

tratto da Il Fatto Quotidiano del 18/12/2009