Rassegna Stampa

La nuova società della conversazione

Intervista al filosofo Gilles Lipovetsky

di Fabio Gambaro

«La depoliticizzazione della società, la forza dei media e un individualismo sempre più accentuato favoriscono la trasformazione della vita politica in materia da rotocalco». Lo sottolinea il filosofo francese Gilles Lipovetsky, il quale, commentando i casi di Sarkozy e Berlusconi, ricorda che tale evoluzione è in atto da tempo. «All’origine di tutto ciò», spiega l’autore dell’ Era del vuoto, Una felicità paradossale e Il tempo del lusso, «c’è innanzitutto la fine delle grandi utopie della modernità, che in passato hanno garantito la centralità della politica percepita come portatrice di grande speranze. Oggi non è più così. Non ci sono più utopie e i progetti politici non fanno più sognare. Anche la mondializzazione contribuisce a tale disincanto, perché, di fronte alle sue conseguenze, la politica sembra impotente. I cittadini hanno l’impressione che il vero potere sia altrove, si sentono espropriati della possibilità di scegliere. Inoltre, non bisogna dimenticare l’attenuarsi della differenza tra destra e sinistra che spinge molti politici a disinteressarsi della politica. Tutto ciò contribuisce alla depoliticizzazione della società e indebolisce lo statuto degli uomini politici, nei confronti dei quali prevale la sfiducia e il sospetto».

Come reagiscono i diretti interessati?

«Provano a sfruttare quella che Baudelaire chiamava la curiosità dell’uomo moderno. Dato che i programmi non riescono più a coinvolgere gli elettori, si punta tutto sulla personalità dell’uomo politico. Da qui la necessità di metterne in scena la vita privata. I politici accettano e a volte favoriscono questa spettacolarizzazione della loro vita, sperando di captare l’attenzione di chi si disinteressa di loro. Una volta si faceva sognare attraverso i programmi, oggi con la narrazione della propria vita. Naturalmente, ciò è reso possibile dalla forza dei media che rispondono alle attese di un pubblico molto sensibile a tali incursioni nel privato. In pratica, all’esibizionismo degli uni risponde il voyerismo degli altri».

Con quali conseguenze?

«Le tecniche della politica assomigliano sempre di più a quelle del marketing e dello star system. Oggi la pubblicità non si accontenta più di dire che un certo prodotto è migliore di altri, vuole creare un valore affettivo con questo o quel marchio. Lo stesso accade in politica, invece di difendere un programma, il politico prova ad alimentare una corrente di simpatia, di affetto. La politica, che era il luogo della razionalità e della riflessione, diventa l’ambito dell’adesione sentimentale. Ecco perché la vita privata e la sua narrazione diventano tanto importanti. Il politico non fa altro che adeguarsi a una società dominata dall’individualismo e dalla vita privata. Ma così la politica diventa oggetto di conversazione invece che di mobilitazione».

Mettendo in scena la loro vita privata, i politici tentano di mettersi sullo stesso piano degli elettori?

«Certamente, vogliono apparire persone normali. La narrazione dei loro amori, dei loro divorzi, dei loro problemi serve a costruire un’immagine più vicina a quella del cittadino comune. Ma tale banalizzazione ne indebolisce ancora di più lo statuto. Insomma, è un circolo vizioso in cui la politica perde la dimensione carismatica che aveva in origine. Senza dimenticare che l’utilizzazione del privato per distogliere l’attenzione dai veri problemi della società è sempre una operazione pericolosa che può sfuggire di mano in qualsiasi momento».

fonte: da "La Repubblica" del 19 maggio 2009