Rassegna Stampa

Il cattolico di base ritrova la parola

di Franco Garelli

Forse c’è una svolta nella presenza pubblica dei cattolici italiani. Dopo anni in cui le battaglie sui temi cari ai cattolici sono state condotte più dal vertice dei Vescovi che dai leader del cattolicesimo organizzato, oggi questi ultimi tornano a mobilitarsi sulla questione più rovente del momento. Il no di Berlusconi ad un’Italia multietnica è risultato indigesto non soltanto ai partiti dell’opposizione, ma anche a larghi settori della Chiesa e del mondo cattolico più impegnato.

Per mesi i massimi esponenti dell’episcopato italiano hanno invitato i politici a coniugare in tema di immigrazione «legalità e accoglienza». Ora, di fronte alla legge, i loro commenti sono sempre più amari. L’accusa di fondo è che il pacchetto sicurezza miri non tanto a scoraggiare gli sbarchi dei clandestini, quanto a rendere impossibile l’integrazione e l’inserimento degli stranieri nella nostra società. Reazioni ancora più forti giungono dalle organizzazioni cattoliche di base (tra cui la Comunità di Sant’Egidio, le Acli, i gruppi Caritas, il Meic), che per la prima volta si schierano compatte contro provvedimenti che - a loro dire - più che affrontare i problemi reali tendono a criminalizzare l’immigrazione. Tutti sottolineano che l’accoglienza non è né di destra né di sinistra, ma di tutti; e che i flussi di immigrati nel nostro Paese devono essere regolati e sottratti alle maglie della criminalità organizzata. Ma questi restringimenti non devono portare a un’inclusione subalterna degli immigrati in Italia, creando per loro vincoli e oneri che li discriminano come persone, non rispettano i diritti umanitari, negano i ricongiungimenti famigliari. Come si può varare una legge che non prevede che ci si prenda cura dei bambini che possono nascere in condizioni di clandestinità? Come possono essere mandati indietro immigrati che fuggono da Paesi che negano i diritti fondamentali?

Sulla questione immigrazione si è dunque creata una singolare convergenza di posizioni tra il vertice della Cei e ampi strati del mondo cattolico organizzato. E ciò a due anni esatti di distanza dal Family Day, un evento fortemente voluto dalla Chiesa nella sua battaglia per affermare i valori irrinunciabili ma che è stato vissuto con intensità diversa dal cattolicesimo di base. Tra i cattolici impegnati nessuno mette in dubbio la necessità di difendere la famiglia e di promuovere la vita ai diversi livelli, anche se non tutti condividono l’idea che la Chiesa debba mostrare i muscoli su questioni che lacerano la coscienza contemporanea. Oggi, invece, la Chiesa di vertice e quella di base sembrano ricompattarsi sul tema dell’immigrazione, anche interrogandosi sul senso del proprio impegno nella società italiana e su quanto possa ancora definirsi cattolica una nazione poco accogliente nei confronti degli stranieri.

Quella dell’immigrazione è certamente una battaglia difficile e impopolare per i gruppi e movimenti ecclesiali. Difficile per il vento del momento, per la crisi economica in atto, perché lo slogan «non vogliamo un’Italia multietnica» fa troppo leva sulla paura e sul bisogno di ordine per poter essere adeguatamente contrastato. Tuttavia, il mondo cattolico impegnato ha deciso sulla questione di scendere in campo, perché non si può tenere insieme l’abito del buon samaritano (tipico di un volontariato che cerca di lenire le ferite della società e degli ultimi) e un clima di proposte politiche e legislative che in nome della sicurezza sembrano prefigurare una pulizia etnica. Le associazioni cattoliche sono uno dei simboli dell’Italia solidale, che però non può essere tale solo nel tempo libero, solo nell’organizzare le mense per i poveri, nel limitarsi al ruolo di infermieri della storia. La solidarietà deve certamente essere coniugata con la sicurezza, ma deve anche esprimersi nelle leggi e nel clima che caratterizzano un Paese che si vuole civile.

fonte: da "La Stampa" del 19 maggio 2009