Rassegna Stampa

Le vie del mare e le vie della legge
di Valerio Onida
Qual è la razionalità nella risposta che la maggioranza parlamentare sta dando al problema del contrasto alla immigrazione illegale, attraverso le diverse misure del provvedimento voluto dal Governo, fra cui la configurazione del nuovo reato di "clandestinità"?
L'uso dello strumento penale dovrebbe sempre essere una estrema ratio, da impiegare, in modo ragionevole e proporzionato, solo quando altre risposte a comportamenti illegali non appaiano adeguate, e la penalizzazione di condotte offensive di beni essenziali appaia invece necessaria a prevenire e reprimere efficacemente le violazioni della legge.

Nel nostro caso non si può dire che la risposta penale al fenomeno degli stranieri che illegalmente entrano o si trattengono sul territorio nazionale risponda a tali requisiti.
Secondo la nuova disposizione «lo straniero che fa ingresso ovvero sì trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni» del testo Unico sull'immigrazione o delle norme sui soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio, «è punito con l'ammenda da 5.000 10.000 euro»: dunque una contravvenzione, che non si può estinguere con l'oblazione, e che viene giudicata dal giudice di pace.
Questi però, se nel frattempo il questore comunica l'avvenuta espulsione, ovvero lo straniero chiede e ottiene asilo politico, o un permesso di soggiorno per motivi umanitari, pronuncia sentenza dì non doversi procedere.
La condanna può essere sostituita dalla "sanzione sostitutiva" dell'espulsione, purché questa sia eseguibile con immediatezza.

A che serve tutto questo?

Non certo a porre in essere, attraverso la minaccia della pena, una efficace dissuasione dell'immigrazione irregolare: chi può infatti pensare che la minaccia di un'ammenda di 5.000 euro "dissuada" dal violare la legge persone che fuggono da situazioni di disperazione e miseria assoluta, o che nel nostro territorio cercano (e magari trovano) condizioni minime di sopravvivenza?
La vera sanzione e la vera minaccia è quella dell'effettivo allontanamento dal territorio: ma questo è già previsto in via amministrativa, per il solo fatto della mancanza di un valido titolo di soggiorno.

E come si è detto, il giudice, pronunciando la condanna, non farebbe che ribadire un ordine di espulsione già possibile indipendentemente dalla nuova previsione di reato: tanto è vero che, se nel frattempo l'espulsione viene eseguita, cessa lo stesso procedimento penale; e se non è stata eseguita perché vi sono ostacoli insormontabili, nemmeno il giudice potrà imporla come «sanzione sostitutiva».

La nuova previsione del reato renderà più facile l'esecuzione dell'espulsione?
No: gli ostacoli reali che sussistevano prima (la difficoltà di identificare lo straniero, il mancato accordo dello Stato di provenienza, l'assenza di mezzi di trasporto, e per altro verso, nel caso di persone che si trovano in Italia da tempo, l'esigenza di tener conto dei loro effettivi legami sociali e familiari) continuano a esserci anche dopo.
Come già prima, anche dopo sarà possibile soltanto trattenere lo straniero nei centri di identificazione ed espulsione (con la nuova legge fino a sei mesi), ma nessuna facilitazione vi sarà al suo effettivo allontanamento dal territorio dello Stato.

La nuova ipotesi di reato non consente d'altronde di procedere all'arresto, né può dar luogo a forme di detenzione diverse dal trattenimento nei centri in vista della esecuzione dell'espulsione, già oggi prevista.
Se poi l'esecuzione dell'allontanamento è possibile, o quando diviene possibile, essa poteva e può avvenire anche indipendentemente dal procedimento e dalla condanna penale. E allora?

Si potrebbe pensare che la previsione del reato incrementi, rendendole obbligatorie, le denunce degli stranieri in posizione di irregolarità da parte dei pubblici ufficiali che vengano a conoscenza di tale situazione nell'esercizio o a causa delle loro funzioni
Questo non varrebbe, comunque, nel caso dei medici e degli addetti alle strutture sanitarie, poiché resta la norma speciale, a tutela del diritto fondamentale alla salute, che esclude qualsiasi obbligo di denuncia.
L'accesso a tali strutture da parte dello straniero irregolare «non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità», salvo l'obbligo di referto nei casi in cui emerga la commissione di un "delitto" perseguibile d'ufficio, e sempre che non si esponga l'interessato a un procedimento penale: quindi l'ipotesi dello straniero irregolare che si fa curare resta fuori

La minaccia dì segnalazione all'autorità di situazioni di irregolarità degli stranieri consegue non tanto alla previsione del nuovo reato, quanto ad altre disposizioni della legge, che si riferiscono alla necessità di esibire il permesso di soggiorno per accedere al matrimonio o ad altri atti di stato civile, o all'obbligo di segnalazione da parte delle agenzie di trasferimento di denaro all'estero.

Qui emerge la "filosofia" della legge, l'idea di fare "terra bruciata" attorno agli stranieri irregolari, impedendo loro od ostacolando l'accesso a prestazioni e servizi pubblici-
Così però si rischia di attentare a diritti fondamentali della persona, e in ogni caso l'unico effetto pratico probabile di queste misure sarà far "scomparire" ancor più le persone nella clandestinità, invece che farle "emergere".

Alla fine, la sensazione è che rèsti, del nuovo reato, un "effetto annuncio", non già nei confronti degli stranieri, ma nei confronti degli elettori.
Si inseguono e si alimentano paure quotidiane di cittadini indotti a considerare l'immigrazione come una sorta di flagello da cui difendersi solo con misure di ordine pubblico, invece che avere il coraggio di affermare come necessarie, e di cominciare a praticare, politiche di lungo periodo che mirino alle radici del problema.

Questo vorrebbe dire: rendere più agevole, governare e incanalare opportunamente l'immigrazione legale (si pensi all'ipocrisia di "flussi" intesi formalmente a consentire l'arrivo di nuovi migranti, e che in realtà servono a regolarizzare -chi già si trova qui); apprestare condizioni decenti di esistenza, di lavoro e di alloggio a chi cerca da noi possibilità di vita che non trova nei paesi di origine; combattere seriamente il lavoro nero, che è probabilmente il fenomeno che trattiene sul territorio più "irregolari", e quindi facilitare l'accesso al lavoro regolare; e (forse soprattutto) mettere in campo energie straordinarie e risorse imponenti dei paesi sviluppati per combattere lo scandalo di disuguaglianze sempre più intollerabili a livello internazionale.

È l'obiettivo a cui guarda la Costituzione, quando pone come fine ultimo della politica internazionale la realizzazione di un ordine che assicuri «la pace», ma anche «la giustizia fra le Nazioni» (articolo 11).


fonte: da "Il sole 24 ore" del 19 maggio 2009