Pensando

Cinquant'anni fa moriva don Primo Mazzolari

Che fatica star dietro a quel prete

"Si avvicina l'ora in cui ci sarà ancora gusto a fare il prete (...) il Signore saldi sulla Croce il tuo slancio". Nel dire queste parole a un giovane avviato al sacerdozio don Mazzolari parlava con piena cognizione di causa. Fin da ragazzo aveva coltivato la virtù della vigilanza e quindi la consapevolezza che il tempo propizio, il kàiros - e l'opportunità di poterlo afferrare - è "adesso". Nel flusso volubile delle vicende umane, animato dalle attese del futuro o involuto e ripiegato nostalgicamente sul passato, l'attimo prezioso da cogliere al volo, e perfino con evangelica violenza - poiché "dei violenti è il Regno dei Cieli" - è proprio ora. In tal senso anche il credente può e deve dire: carpe diem. Il presente riflette il tempo eterno di Dio e quindi valorizza la quotidianità dell'uomo; e ciò è vero soprattutto per chi sceglie di consacrare la propria vita al servizio della Sposa di Cristo.

Il presente è il tempo del prete. "L'adesso è la croce che va portata se uno vuol tenere dietro a Cristo. "Adesso" è la briciola che porta tutto a Cristo. Nella fedeltà al poco che è l'"adesso" comunico con Dio e gli rendo testimonianza (...) Non soltanto Dio, ma ogni creatura mi dà appuntamento nell'"adesso": il mio prossimo mi dà appuntamento (...) Vi sono soluzioni che non si possono rimandare in attesa della soluzione perfetta, che non danneggi nessuno, soprattutto chi sta bene. Chi ha fame non può attendere. Il pane che va dato è il pane di oggi". Con queste parole si apre un'agile antologia di articoli mazzolariani dedicati proprio alla dimensione sacerdotale intitolata Il prete di "Adesso" (Roma, Rogate, 2009, pagine 141, euro 12 ) curata dal padre rogazionista Leonardo Sapienza, addetto al Protocollo della Prefettura della Casa Pontificia.


Sacerdote, giornalista, scrittore e partigiano, don Primo Mazzolari era nato il 13 gennaio 1890 a Cremona e morì da parroco a Bozzolo (Mantova) cinquant'anni fa il 12 aprile 1959. Di famiglia contadina, aveva fatto i suoi studi nel seminario diocesano di Cremona, dalla seconda ginnasiale fino agli studi teologici, sotto il vescovo Geremia Bonomelli (1831-1914). I periodi di vacanza li trascorreva a Verolanuova (Brescia) dove suo padre si era stabilito, pur mantenendo sempre stretto contatto con il resto della famiglia rimasta a Boschetto di Cremona. Fu ordinato sacerdote il 25 agosto 1915 a Verolanuova dal vescovo di Brescia monsignor Giacinto Gaggia (1847-1933). Il mese di esercizi spirituali di preparazione all'ordinazione Primo lo aveva trascorso a Chiari (Brescia) presso l'abbazia dei monaci benedettini francesi di Solesmes.

Nei primi otto mesi di sacerdozio fu coadiutore nella parrocchia di Spinadesco, presso Cremona, quindi fu incaricato di insegnare italiano, storia e geografia nelle prime classi ginnasiali del seminario e, allo stesso tempo, prestò servizio domenicale a Boschetto dove il parroco titolare era ammalato. Con lo scoppio della prima guerra mondiale don Mazzolari ebbe subito il dolore di perdere il fratello Peppino caduto sul Sabotino, a nord di Gorizia. Anch'egli fu costretto a partire per la guerra. Dapprima da soldato semplice, quindi come caporale della sanità e infine in qualità di cappellano militare. Dopo la guerra, nel 1920, fu destinato a Bozzolo in veste di delegato vescovile della parrocchia della Santissima Trinità rimanendovi fino al 31 dicembre 1921. Senonché i suoi metodi pastorali e la sua ampiezza di vedute, tra cui non ultima la rispettosa e dialogante amicizia col sindaco del posto, Umberto Donini che era socialista, furono motivo di forte incomprensione e di critica da parte dell'arciprete della parrocchia principale. A complicare le cose ci si mise, a un certo punto, anche la ferma presa di posizione di don Primo in difesa delle operaie tessili della locale fabbrica di calze. Allora il vescovo lo nominò parroco a Cicognara di Viadana dove, con il sacerdote precedente, si erano verificati seri problemi di convivenza con la gente del luogo a causa dei fittabili della prebenda. Don Mazzolari prese possesso della parrocchia il 31 dicembre 1921 e vi restò fino al luglio del 1932, quando il suo vescovo, monsignor Giovanni Cazzani (1867-1952) decise di trasferirlo nuovamente a Bozzolo, riunendo sotto le sue cure le due parrocchie del paesino tra le quali persisteva una sorta di campanilistico antagonismo. L'unificazione realizzata da don Primo pose fine all'incresciosa situazione. A Bozzolo egli sarebbe rimasto fino alla morte.

Tutti in genere gli riconoscevano un forte senso evangelico e pastorale, capace di calarsi con realismo e pertinenza nella vita concreta e nei problemi più reali e umani della gente, oltre a una grande capacità di incidere sulle coscienze. L'autorità ecclesiastica, soprattutto per i suoi molti scritti giudicati a volte troppo arditi e provocatori a un certo punto lo colpì con diversi interdetti. Ne La più bella avventura (1934) per esempio, don Mazzolari leggendo la parabola del figliol prodigo, aveva preso le difese del fratello minore scialacquatore e accusava il vuoto perbenismo - da schiavo più che da figlio - del fratello maggiore. Sfortuna volle che un pastore protestante di un centro vicino si servisse di quelle pagine per polemizzare con la cattolicità. Il libro, denunciato, da qualche caritatevole zelante, al Sant'Uffizio, fu ritirato. Don Primo inoltre si era già segnalato a livello pubblico per essersi opposto all'arroganza del fascismo fin dai tempi della marcia su Roma e specialmente nel novembre 1925 quando, dopo l'attentato - fallito - di Tito Zaniboni a Mussolini, si rifiutò di cedere alla pretesa dei fascisti del paese che gli avevano ordinato di presiedere una funzione religiosa di ringraziamento strumentalmente stabilita per controllare chi avesse "fede fascista" senza "confondersi con la solita gente che frequenta la chiesa alla domenica". Don Mazzolari rispose che "la Chiesa non può prestarsi a dimostrazioni politiche di nessun genere bastando, a questa bisogna, la piazza e che Cristo non poteva essere preso a discrimine di fede politica. Che nessuno doveva vergognarsi di mettersi in ginocchio accanto alla buona gente che si ricorda di essere cristiana non in certe occasioni soltanto, ma tutte le domeniche e che più cordialmente di tutti, perché più religiosa, avrebbe ringraziato il Signore per lo scampato pericolo del Presidente del Consiglio". Quando nonostante tutto i fascisti inquadrarono e irreggimentarono la popolazione, "con la minaccia del bastone e della rivoltella", per condurla al canto del Te Deum, don Mazzolari tenne testa alla prepotenza e dopo un discorso di cinque minuti - "il Signore sa quello che ho detto, perché Lui solo me l'ha ispirato e io non ricordo più" - concluso con la recita del Padre Nostro, congedò l'assemblea. Denunciato dalla Regia procura di Cremona ai superiori ebbe una blanda reprimenda dal vescovo monsignor Cazzani il quale intimamente approvava le posizioni del suo sacerdote e lo avrebbe dimostrato in diverse circostanze, basti solo ricordare le reiterate polemiche che il presule avrebbe avuto con Farinacci, e la forte omelia pronunciata nella cattedrale di Cremona nell'Epifania del 1939 a condanna delle leggi razziali promulgate dal fascismo. Omelia, che lo stesso don Mazzolari avrebbe definito "magistrale".

Negli anni della seconda guerra mondiale don Primo partecipò attivamente alla lotta di liberazione. Si adoperò per nascondere e salvare diversi ebrei e antifascisti - ma dopo la guerra avrebbe fatto lo stesso per difendere alcune persone compromesse col regime e ingiustamente perseguitate. Fu anche arrestato e rilasciato e dovette vivere in clandestinità fino al 25 aprile del 1945.

Nel dopoguerra fondò il periodico quindicinale "Adesso" (1949-1962) e diversi suoi scritti avrebbero attirato nuove sanzioni e richiami da parte dell'autorità ecclesiastica. Vicende che avrebbero portato anche alla momentanea chiusura del giornale nel 1951. Nel luglio dello stesso anno venne imposto a don Primo il divieto di predicare fuori della sua diocesi senza autorizzazione e il divieto di pubblicare articoli senza preventiva revisione dell'autorità ecclesiastica. "Adesso" riprese le pubblicazioni, don Mazzolari però dovette apparire di meno pur continuando a scrivere sotto pseudonimo. Negli anni Cinquanta maturò la sua visione sociale prossima alle classi più deboli e soprattutto incentrata sulle tematiche della pace con la condanna della dottrina della "guerra giusta" e dell'ideologia della vittoria (Tu non uccidere, 1955, pubblicato anonimo), espressione di quell'ideale di non violenza e di obiezione di coscienza che soprattutto nel mondo del cattolicesimo fiorentino avrebbe trovato numerosi e convinti assertori quali lo scolopio Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, Nicola Pistelli e soprattutto don Lorenzo Milani - collaboratore e lettore assiduo di "Adesso".

Nonostante la perdurante diffidenza e gli interdetti delle autorità ecclesiastiche - sopportate silenziosamente in sostanziale e rispettosa obbedienza, aliena da clamori e da atteggiamenti vittimistici - le visioni di don Primo Mazzolari così legate al Vangelo e all'etica delle Beatitudini avrebbero anticipato diverse prospettive pastorali e dottrinarie del concilio Vaticano II. E proprio negli ultimi mesi di vita il parroco di Bozzolo ricevette le prime e più alte attestazioni di stima da parte delle alte gerarchie. È noto come Papa Giovanni xxiii ricevendolo in udienza il 5 febbraio del 1959 lo salutasse con un appellativo gioioso rimasto celebre: "La Tromba dello Spirito Santo" dopo che nel novembre del 1957 l'arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini lo aveva chiamato a predicare agli universitari. In seguito proprio Paolo VI avrebbe detto ricordando don Primo: "Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti".

fonte: da "l'Osservatore Romano" del 8 aprile 2009