Rassegna Stampa

Una ferita risanata nel solco di Wojtyla

di Adriano Prosperi


L´offesa all´intera umanità era stata gravissima. Una riparazione era necessaria. Ora che è giunta si deve riconoscerne l´importanza e dare atto a papa Ratzinger di avere compiuto un passo significativo. Lo si fa volentieri oggi, specialmente in Italia dove l´uso politico dell´odio religioso e un´oscena spettacolarizzazione mediatica della morte hanno avvilito oltre ogni limite il clima morale nel paese.


L´incontro di papa Ratzinger con l´autorevole delegazione delle più importanti organizzazioni ebraiche americane era l´occasione che l´opinione pubblica attendeva. Si trattava di sapere come Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, avrebbe corretto il passo falso di quella scomunica ai seguaci di Monsignor Lefebvre tolta proprio mentre le ignobili dichiarazioni del vescovo lefebvrista Richard Williamson ne esibivano tutto il livore antiebraico e ridavano voce alle tesi negazioniste della Shoah. Ebbene, papa Ratzinger ha solennemente affermato che la Shoah deve essere «per tutti monito contro l´oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti». Ci si potrebbe soffermare su queste parole chiedendoci per esempio se non vi si debba cogliere un´eco delle guerre di religione combattute nei giorni scorsi intorno a un essere umano umiliato e offeso che tutti ricorderemo a lungo. Ma lasciamo da parte volentieri il contesto italiano. L´Italia non entra in questa storia se non come luogo geografico di una dichiarazione papale le cui ragioni risiedono altrove. La lacerazione aperta dalle parole di Monsignor Williamson e dalle posizioni della sua «Fraternità» si era avvertita soprattutto fuori d´Italia. Come si ricorderà, c´era stata una reazione immediata dell´opinione pubblica del mondo intero. Critiche vivaci erano giunte dalle comunità ebraiche e da ambienti cattolici: si erano risentiti in molti dalla Francia, patria di Monsignor Lefebvre e del tradizionalismo anticonciliare ma anche di un cattolicesimo legato al Concilio Vaticano II e attento al virus dell´antisemitismo. E c´era stata soprattutto la Germania: la clamorosa presa di distanza dal papa tedesco da parte della cancelliera Angela Merkel che aveva dichiarato «insufficiente» la prima precisazione vaticana sul negazionismo, aveva creato una situazione inedita e preoccupante per il papa, che la telefonata successiva tra i due non poteva bastare a risolvere. E sullo sfondo c´era soprattutto il rapporto con l´America di Obama e con la realtà di quelle organizzazioni ebraiche d´oltre Oceano sicuramente meno malleabili di quelle della nostra parte dell´Atlantico. Anche per questo era prevedibile che l´incontro coi loro rappresentanti sarebbe stato segnato da dichiarazioni importanti. Che ci sono state: facendo sue le parole di papa Wojtyla, Josef Ratzinger ha detto: «Signore dei nostri padri... siamo profondamente addolorati per il comportamento di coloro che nel corso della storia hanno causato sofferenza ai tuoi figli e, nel chiedere perdono, vogliamo impegnare noi stessi per una autentica fratellanza con il Popolo dell´Alleanza».


Ora che ci sono state ci si può anche chiedere se potevano essere diverse. Nel prepararsi all´appuntamento papa Ratzinger aveva alcune alternative per la scelta dei temi e degli argomenti. Poteva ad esempio rifarsi alla svolta segnata dal Concilio Vaticano II nel rapporto con l´ebraismo e riaffermarne la validità. Non per niente il rabbino Arthur Schneier ha affermato rivolgendosi al papa che sono quelle del Concilio le «solide fondamenta» che permettono alle relazioni ebraico-cattoliche di «sopravvivere a periodiche cadute». Una dichiarazione papale in quel senso avrebbe consolidato quelle fondamenta e cancellato completamente i dubbi seminati dalle dichiarazioni dei membri della Fraternità lefebvriana: per i quali l´eliminazione della scomunica significa, come hanno detto essi stessi, solo l´apertura di un percorso di incontro con Roma in cui ciascuno dovrebbe fare dei passi. Con loro e davanti al mondo la posta in gioco era - e resta - l´interpretazione del Concilio Vaticano II. E´ qui che i dubbi e le resistenze ma anche le interpretazioni «continuiste» o apertamente revisioniste stanno da diverso tempo mettendo molta acqua nel vino nuovo che i padri conciliari ritennero di aver versato negli otri ecclesiastici. Ma quella dichiarazione che il rabbino Schneier si attendeva e che ha implicitamente messo agli atti dell´incontro non è venuta. Papa Ratzinger ha scelto una via diversa: ha «fatto sua» la domanda di perdono che papa Wojtyla aveva formulato in un celebre documento elaborato in occasione del Giubileo cattolico dell´anno 2000 e ripreso nella commossa preghiera al Muro del pianto del marzo 2000. Quel documento viene spesso descritto come una domanda di perdono per il male fatto agli ebrei dalla cristianità nei suoi duemila anni di storia. In realtà si tratta di qualcosa di diverso, come fu notato subito: non un riconoscimento delle colpe e degli errori della Chiesa come collettività e come gerarchia, nelle sue autorità centrali e nelle dottrine diffuse dal suo insegnamento, ma una ammissione di errori e colpe commesse da alcuni cristiani, che avevano sbagliato come singoli.


Le ragioni di scelte come quelle dell´allora papa Wojtyla e dell´attuale papa Ratzinger si possono ben intuire. I mutamenti di rotta e la correzione di tratti profondamente radicati fanno temere fratture nel corpo collettivo della Chiesa. Quello del plotone lefebvriano ne è un esempio. Resta il fatto che è avvenuto un fatto nuovo ed è stata usata una parola importante: il fatto nuovo è la reazione dell´opinione pubblica davanti all´offesa inaudita arrecata da preti e monsignori della «Fraternità San Pio X» alla verità storica e alla memoria delle vittime della Shoah. La parola importante che è stata pronunziata è la domanda di perdono.

fonte: Repubblica - 13 Febbraio 2009