Rassegna Stampa

tratto da ItaliaOggi del 28.01.2009

Vaticano, sotto accusa Castrillon
di Chris Bonface


Retroscena. La ricostruzione di un protagonista sul caso che ha gelato i rapporti con gli ebrei
Nel mirino del cardinale Re l'estensore del testo su Lefebre

C'è una domanda che da qualche giorno circola oltre Tevere e che molti si sono fatti sull'alta riva del fiume, soprattutto nei palazzi della politica: ma c'è qualcuno che l'ha tirata a Papa Benedetto XVI°, nascondendo la trappola del vescovo negazionista nel dossier sulla riabilitazione dei seguaci di monsignor Lefebre? Molti dentro e fuori dal Vaticano hanno fornito la loro risposta in queste ore. Ma per capire di più bisognava essere domenica su un pullman. Su uno dei due pullman che come ogni anno partono da piazza San Pietro per raggiungere la Basilica di San Paolo fuori le mura, per la celebrazione della festa della conversione dell'apostolo della genti. Sul pullman, o anche nei pressi. Perché da uno dei primi sedili stava esplodendo il vocione del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione dei vescovi. Quasi un urlo, «Quel Pasticcion!», il modo di storpiare il nome di un collega porporato, il cardinale Dario Castrillòn Hoyos. Sì, tutta colpa secondo Re del Castrillòn-Pasticciòn, che secondo il collega cardinale avrebbe istruito la pratica in fretta e furia per non farsi sfuggire l'occasione storica della chiusura dello scisma lefebriano. «Anche a me», avrebbe tuonato il cardinale Re secondo gli altri viaggiatori del pullman (altri prelati e vescovi), «non ha dato che qualche ora di tempo per mettere la controfirma necessaria. Tutto perché tra poco Castrillòn (il «Pasticciòn») compie 80 anni e se ne va in pensione. Se non si chiudeva subito il dossier, non sarebbe toccato a lui...». Secondo lo sfogo del cardinale Re «quel testo faceva acqua da tutte le parti! D'altra parte l'ha scritto Francesco Coccopalmerio (presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi) che già bisticcia di suo con la lingua italiana... Insomma, se si fosse aspettato un mesetto e magari dare la notizia quando si era messo a punto anche il nuovo stato giuridico dei lefebriani, sarebbe stata tutt'altra cosa e non ci si sarebbe esposti a questa gaffe!». Furente- ed è dire poco- il cardinale Re mentre si recava alla funzione celebrativa della conversione di San Paolo. E prodigo di particolari anche di fronte alle domande degli ospiti. Ma allora tutta colpa dell' improvvisazione? Nessuno sapeva del caso dell'arcivescovo Richard Williamson e della sua intervista-choc alla tv svedese in cui si negava lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale? Macchè, ha spiegato Re agli altri viaggiatori. Tutto noto a Castrillòn-Pasticciòn. Che sapeva, probabilmente non ha detto nulla al Papa, e certo ha sottovalutato le conseguenze. Secondo quanto riferisce uno degli ospiti del pullman Castrillon avrebbe contattato il superiore generale dei lefebriani, monsignore Bernard Fellay, che gli avrebbe assicurato che «non bisognava stare dietro a Williamson. Lui per altro veniva dalla chiesa anglicana, e dice di non volere entrare in quella cattolica. Ma è malato da tempo, forse ha poche settimane di vita, e non ragiona più. Sbarella tutti i giorni, e chissà quante ne dirà ancora...». Un caso clinico quindi, a cui non dare troppa importanza. Certo, secondo Re, montato ad arte dai mass media il giorno successivo, ma «bisognava metterlo in conto, e non ci fosse stata questa terribile e immotivata fretta di Castrillòn, evitabile, evitabilissimo».
Incidente casuale e tutto interno al gruppo di cardinali che ha portato al Papa il decreto che avrebbe scatenato le reazioni di mezzo mondo e di tutte le comunità ebraiche, secondo la ricostruzione (privata) di uno dei protagonisti principali della vicenda. Ma certo il caso ora c'è, e in Vaticano la riparazione è allo studio. Si sta pensando a una frase da inserire in uno dei prossimi discorsi papali (angelus domenicale o udienza del mercoledì) che suoni di chiara distensione con il mondo ebraico. E alla possibilità che il Pontefice accolga l'invito più volte fatto (e rinnovato ieri) dal rabbino capo Riccardo Di Segni di recarsi alla Sinagoga di Roma per una preghiera comune.