Rassegna Stampa

tratto da La Stampa, 1 febbraio 2009

Kirill; l'ora del dialogo a Mosca
di Enzo Bianchi


L’elezione del metropolita Kirill a Patriarca di Mosca e di tutta la Russia offre l’occasione per un approfondimento del significato che può avere oggi, non solo per la chiesa russa e per le altre chiese cristiane, l’avvento di un nuovo pastore alla guida di 165 milioni di fedeli in tutto il mondo. Attenuatosi l’interesse un po’ superficiale dei media per il “primo patriarca dopo la scomparsa dell’URSS” e affievolitasi anche l’ormai logora domanda sulla data di un possibile incontro tra il papa e il patriarca di Mosca, credo restino aperte questioni più consistenti e capaci di interessare ambienti ben più vasti di quelli cristiani o di addetti ai lavori. E questo non solo per la consueta attesa che circonda ogni nuovo arrivato in posti di così elevata responsabilità, ma anche per la storia personale del neoeletto e per quanto egli ha già avuto modo di operare per quasi vent’anni nelle funzioni di capo del Dipartimento per le relazioni esterne. Il suo ministero – che si assommava alla guida pastorale della diocesi di Smolensk e Kaliningrad – comportava infatti la responsabilità dei rapporti della chiesa ortodossa russa sia con lo stato e le istituzioni politiche interne ed esterne alla Russia, sia con le altre chiese cristiane e le altre religioni.
Possiamo dire che le sfide e gli impegni che lo attendono sono quelli che ha da tempo iniziato ad affrontare come stretto collaboratore del suo predecessore Alessio II: la rinascita della chiesa nei paesi dell’ex-Unione sovietica e la crescente presenza di ortodossi russi e ucraini nella diaspora, il dialogo con le chiese sorelle dell’ortodossia – in particolare il patriarcato ecumenico di Costantinopoli e la chiesa russa all’estero, sorta dopo l’avvento del comunismo – con la chiesa cattolica e con le altre chiese e confessioni cristiane, il confronto con la modernità e la società globalizzata, la salvaguardia di un’identità e di un’etica cristiana vissute all’interno di una tradizione millenaria che ha conosciuto periodi di splendore e di sofferenza di rara intensità. Come si può vedere, si tratta di problematiche che hanno una portata ben più vasta dei già ampi territori dell’ex-impero sovietico: è la complessa posta in gioco che riguarda ormai ovunque la presenza dei cristiani nella società e l’articolarsi di una polis pluralista e laica rispettosa della libertà religiosa di ogni essere umano.
Una realtà certo non semplice, ma il patriarca Kirill – che ho avuto il dono di incontrare personalmente a più riprese in questi anni – non è nuovo a confrontarsi con sfide di questa portata e finora lo ha fatto con grande adesione alla realtà, con fermezza e apertura, consapevole che i conti bisogna farli con la situazione concreta che si ha di fronte e non con un auspicabile mondo migliore che esiste solo nei nostri sogni o ricordi. Nipote e figlio di un prete ortodosso che conobbe la persecuzione comunista, giovanissimo segretario personale del metropolita Nikodim di Leningrado – che morirà tra le braccia di Giovanni Paolo I durante uno storico incontro in Vaticano – attivamente impegnato in commissioni, organismi e assemblee ecumeniche, il patriarca Kirill è consapevole del prezzo da pagare per annunciare il vangelo, ma anche di quanto l’annuncio cristiano possa offrire all’umanità in termini di senso e di valore dell’esistenza.
E’ significativo in proposito quanto ebbe ad affermare durante uno dei Convegni di spiritualità ortodossa organizzati dal mio monastero di Bose in collaborazione con il patriarcato di Mosca: “Abbiamo percepito per la prima volta lo spirito di rinnovamento e di libertà non nel 1991, quando si sgretolò l’Unione Sovietica, ma già nel 1988, quando il nostro paese celebrò il millennio del battesimo della Rus’. La preparazione durò alcuni anni durante i quali continuavano a dirci che si trattava soltanto di manifestazioni interne alla chiesa ortodossa russa, di nessun interesse per il paese e la società… Risultò invece che quella che doveva essere una ricorrenza solo ecclesiastica divenne un evento di dimensione nazionale ... Era cominciato quello che, ben presto, venne chiamato il secondo battesimo della Russia. Nell’epoca della chiesa del silenzio la nostra cultura cristiana, che non si poteva comunque cancellare dalla vita, aveva continuato a predicare Cristo”. Questa consapevolezza può spiegare anche la sua visione della modalità di presenza della chiesa in una società che conosce il contraccolpo di un confronto con l’occidente senza più mura di separazione o di protezione: come ritrovare e difendere un’identità culturale e religiosa senza fomentare conflitti né arrendersi alla mentalità dominante?
“In questo – ha avuto modo di affermare l’allora metropolita Kirill – la chiesa ortodossa russa è per la separazione della chiesa dallo stato, ma contro la separazione della fede dalla vita, e della chiesa dalla società. Ciò implica la necessità di dialogo e di interazione tra chiesa e potere statale negli interessi del popolo, il cui contenuto è molteplice: un’azione pacificatrice a livello internazionale, multietnico e civile, il mantenimento della morale nella società, l’attività caritativa, la custodia e la ricostruzione del patrimonio storico e culturale...”. Un’impresa né semplice né immediata, ma animata da un chiaro orientamento di fondo: il bene comune e la custodia della dignità umana dipendono in larga misura dalla capacità di “combinare i diritti e la libertà con la responsabilità etica”. Vi è infatti una libertà interiore e un’istanza etica che è connaturale all’essere umano, indipendentemente dalla sua cultura o confessione di fede di appartenenza, che sono in grado di “articolare gli attuali modelli di civilizzazione in modo pacifico e vivibile”.
Possiamo ancora pensare che simili sfide riguardino solo il mondo ortodosso nei paesi post-sovietici? O non è forse questione di noi stessi, delle nostre società, dei principi e dei valori che le abitano e le sostengono? Consapevolezza della realtà in cui viviamo, amore per la propria identità, disponibilità all’ascolto e attenzione all’altro sono un patrimonio prezioso dell’umanità che siamo tutti chiamati a custodire e alimentare, in modo da nutrircene noi e da offrirlo come eredità vitale ai nostri contemporanei e alle generazioni che verranno.