Una risposta all’antipolitica, di Curzio Maltese
La paura dev’essere molta se la politica di colpo riscopre la questione morale. A Palazzo non se ne parlava tanto dai tempi di Berlinguer e poi di Mani Pulite. Derisa per quindici anni dalla casta politico-giornalistica nella categoria “giustizialismo”, ma non dimenticata dai cittadini, come testimoniano il successo del libro di Rizzo-Stella e delle iniziative di Beppe Grillo. Il Partito democratico ha accolto per primo e migliorato le proposte dei "grillini". Veltroni ha deciso di escludere dalle liste elettorali non soltanto i condannati in via definitiva, ma anche (un "ma anche" coraggioso, questo) gli inquisiti e i condannati in primo grado. Saranno esclusi, con le deroghe del caso, pure i parlamentari con tre legislature alle spalle. Fra le vittime, più o meno consenzienti, della regola ci sono nomi illustri, da Romano Prodi a Giuliano Amato, e poi Violante, Visco, De Mita. Tre legislature, vista la durata media, è più sensato di due. Ma soprattutto è un sollievo democratico che a non candidare pregiudicati e inquisiti siano i partiti stessi, come avviene nelle democrazie mature, e non leggi più populiste che popolari, peraltro di dubbia costituzionalità.
È un modo per dare una risposta seria all’antipolitica. Che in realtà è voglia di una buona politica. Esiste poi un modo molto meno serio ed è quello del centrodestra. Stretto ancora una volta nell’angolo da un’inziativa dell’avversario, Berlusconi ha deciso di vestire i panni del moralizzatore con l’affanno con cui si ripesca nella naftalina del guardaroba un abito di cerimonia di vent’anni e venti chili prima e si prova a indossarlo trattenendo il fiato. Berlusconi, che per sua fortuna dispone di molti maggiordomi, ha delegato la fatica all’ottimo Bondi. Il portavoce ha annunciato che anche il Pdl non candiderà condannati o inquisiti con procedimento in corso. Subito si è sparso il panico nelle fila berlusconiane. Il portavoce ha allora precisato che non si terrà conto dei processi di natura politica. Nella visione del berlusconismo, tutti. L’intero codice penale. Un caso esemplare di procedimenti di “natura politica” sono, ovviamente, i tre che riguardano il capo. Nell’ordine: corruzione giudiziaria (caso Mills), appropriazione indebita e frode fiscale (diritti televisivi) e corruzione (caso Saccà). Un altro caso di processi politici, giunti addirittura a condanna per le trame delle toghe rosse, riguardano le tre condanne di Marcello Dell’Utri. Una in primo grado a nove anni per mafia, una in appello per estorsione e la terza in Cassazione per frode fiscale. Si badi che Dell’Utri, attraverso il ventriloquo Miccichè, è colui che ha sollevato la questione morale nei confronti di Totò Cuffaro.
Il caso Cuffaro introduce il delicato problema della questione morale fra i centristi. Sulla quale stranamente il cardinale Ruini, stratega riconosciuto del fronte politico cattolico, non si è ancora pronunciato. La percentuale di condannati e inquisiti fra i centristi, pure così attenti ai temi etici, è assai elevata. In particolare all’ex ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, inquisito, si pone un problema ulteriore. Se escludere dalle liste non tanto gli inquisiti quanto i detenuti attualmente agli arresti. Nell’Udeur, a conti fatti, si tratta di quasi la metà del gruppo dirigente.
Nel Parlamento uscente i condannati in via definitiva erano venticinque, diciassette nell’attuale alleanza Pdl-Lega, quattro centristi e quattro nel Pd. Oltre a Cesare Previti, decaduto. Con i condannati in primo e secondo grado e gli inquisiti si arrivava a ottantacinque nomi. Quasi il nove per cento dei parlamentari, un indice di criminalità equivalente o superiore al quartiere di Scampia. Vero è che non tutti i reati sono uguali né tantomeno i percorsi umani. Il percorso di Sergio D’Elia, ex terrorista che ha scontato lunghi anni in carcere, è per esempio fra i più rispettabili. Questo non toglie che il suo reato sia il più orrendo, concorso in omicidio. D’Elia è uno dei candidati dei radicali proposti nelle liste del Pd. Nello statuto dei democratici nulla vieta che una persona, scontata la pena, possa essere candidato. Nulla, se non una legge morale profonda e superiore agli statuti di partito. Nessuno tocchi Caino ma nessuno lo candidi a rappresentare il popolo. Non qui, non oggi, non davanti alle famiglie delle sue vittime.
È un modo per dare una risposta seria all’antipolitica. Che in realtà è voglia di una buona politica. Esiste poi un modo molto meno serio ed è quello del centrodestra. Stretto ancora una volta nell’angolo da un’inziativa dell’avversario, Berlusconi ha deciso di vestire i panni del moralizzatore con l’affanno con cui si ripesca nella naftalina del guardaroba un abito di cerimonia di vent’anni e venti chili prima e si prova a indossarlo trattenendo il fiato. Berlusconi, che per sua fortuna dispone di molti maggiordomi, ha delegato la fatica all’ottimo Bondi. Il portavoce ha annunciato che anche il Pdl non candiderà condannati o inquisiti con procedimento in corso. Subito si è sparso il panico nelle fila berlusconiane. Il portavoce ha allora precisato che non si terrà conto dei processi di natura politica. Nella visione del berlusconismo, tutti. L’intero codice penale. Un caso esemplare di procedimenti di “natura politica” sono, ovviamente, i tre che riguardano il capo. Nell’ordine: corruzione giudiziaria (caso Mills), appropriazione indebita e frode fiscale (diritti televisivi) e corruzione (caso Saccà). Un altro caso di processi politici, giunti addirittura a condanna per le trame delle toghe rosse, riguardano le tre condanne di Marcello Dell’Utri. Una in primo grado a nove anni per mafia, una in appello per estorsione e la terza in Cassazione per frode fiscale. Si badi che Dell’Utri, attraverso il ventriloquo Miccichè, è colui che ha sollevato la questione morale nei confronti di Totò Cuffaro.
Il caso Cuffaro introduce il delicato problema della questione morale fra i centristi. Sulla quale stranamente il cardinale Ruini, stratega riconosciuto del fronte politico cattolico, non si è ancora pronunciato. La percentuale di condannati e inquisiti fra i centristi, pure così attenti ai temi etici, è assai elevata. In particolare all’ex ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, inquisito, si pone un problema ulteriore. Se escludere dalle liste non tanto gli inquisiti quanto i detenuti attualmente agli arresti. Nell’Udeur, a conti fatti, si tratta di quasi la metà del gruppo dirigente.
Nel Parlamento uscente i condannati in via definitiva erano venticinque, diciassette nell’attuale alleanza Pdl-Lega, quattro centristi e quattro nel Pd. Oltre a Cesare Previti, decaduto. Con i condannati in primo e secondo grado e gli inquisiti si arrivava a ottantacinque nomi. Quasi il nove per cento dei parlamentari, un indice di criminalità equivalente o superiore al quartiere di Scampia. Vero è che non tutti i reati sono uguali né tantomeno i percorsi umani. Il percorso di Sergio D’Elia, ex terrorista che ha scontato lunghi anni in carcere, è per esempio fra i più rispettabili. Questo non toglie che il suo reato sia il più orrendo, concorso in omicidio. D’Elia è uno dei candidati dei radicali proposti nelle liste del Pd. Nello statuto dei democratici nulla vieta che una persona, scontata la pena, possa essere candidato. Nulla, se non una legge morale profonda e superiore agli statuti di partito. Nessuno tocchi Caino ma nessuno lo candidi a rappresentare il popolo. Non qui, non oggi, non davanti alle famiglie delle sue vittime.