Scrivere un’icona … scegliere elementi naturali: la tavola (legno, gesso, colla, tela)… i colori: terre o pietre preziose frantumate finemente nel mortaio, diluiti con un composto di rosso d’uovo e vino bianco… i pennelli di martora… e metterli insieme secondo regole antiche: lo scrittore di icone si fa interprete dell’incontro dell’uomo con il divino, o meglio, realizza il suo incontro con il divino: il volto di Gesù, della Madre di Dio, dei Santi… come preghiera…
Gli elementi naturali diventano presenza del trascendente e si trascendono essi stessi.
La preghiera che precede il lavoro dell’iconografo lo aiuta a porsi in atteggiamento di profonda umiltà, offrendo le sue mani per realizzare un’opera più grande di lui, un’opera imperfetta. La bellezza del volto raffigurato è sempre sospirata, attesa… nella consapevolezza che c’è sempre un di più, un oltre, irraggiungibile … ma l’imperfezione intuisce il trascendente… e l’icona aiuterà l’uomo che cerca… come una via, la via della bellezza.
Quando l’icona apparirà nella sua completezza, quando l’iconografo sentirà di aver finito il lavoro, di aver curato ogni più piccolo dettaglio, linea, tocco, schiarimento, velatura, e l’avrà protetta passando con le mani l’olio di lino affinché possa mantenere più a lungo possibile la sua bellezza, … l’iconografo sentirà che l’icona non è più sua ma di tutti. L’icona incontrerà altri volti… nuovi sentimenti, pensieri, preghiere affioreranno nel cuore di coloro che si soffermeranno anche solo un istante a contemplarla.
Gli elementi naturali diventano presenza del trascendente e si trascendono essi stessi.
La preghiera che precede il lavoro dell’iconografo lo aiuta a porsi in atteggiamento di profonda umiltà, offrendo le sue mani per realizzare un’opera più grande di lui, un’opera imperfetta. La bellezza del volto raffigurato è sempre sospirata, attesa… nella consapevolezza che c’è sempre un di più, un oltre, irraggiungibile … ma l’imperfezione intuisce il trascendente… e l’icona aiuterà l’uomo che cerca… come una via, la via della bellezza.
Quando l’icona apparirà nella sua completezza, quando l’iconografo sentirà di aver finito il lavoro, di aver curato ogni più piccolo dettaglio, linea, tocco, schiarimento, velatura, e l’avrà protetta passando con le mani l’olio di lino affinché possa mantenere più a lungo possibile la sua bellezza, … l’iconografo sentirà che l’icona non è più sua ma di tutti. L’icona incontrerà altri volti… nuovi sentimenti, pensieri, preghiere affioreranno nel cuore di coloro che si soffermeranno anche solo un istante a contemplarla.
La bellezza dell’icona, la cura per esprimerla, è una via che assomiglia molto alla via della meditazione, la via del silenzio e la via della bellezza si incontrano.
Nella meditazione si impara a stare silenziosamente con qualcuno o con qualcosa, per poter vedere meglio, ascoltare meglio… per imparare ad attraversare le ferite che richiamano con la forza della sofferenza la nostra attenzione e scioglierle con il calore dell’accoglienza e dell’intelligenza pulita e amorevole del cuore.
Anche quando scrive l’icona, l’iconografo sta con il volto… ne coglie le linee essenziali e poi quelle più segrete… e via via, le vesti, le mani… e poi i colori, gli schiarimenti fino alle linee di luce, che indicano i punti di maggior contatto con il volto che si sta scrivendo e che appare sempre più nella sua forma splendente. Poche linee sottili, accenti, che sottolineano il tocco… che danno più vita…
Gli errori, le imperfezioni, le cancellature…. Assomigliano molto alle “frontiere del silenzio”, alle difficoltà che incontriamo nella pratica di meditazione. Frontiere che diventano i passaggi, le feritoie, attraverso cui impariamo qualcosa di più di noi per crescere in umanità …
Lo scrittore di icone, così come il meditante, si sente sempre un principiante: ogni giorno è nuovo, ogni volto è diverso dall’altro, ogni sentimento muta… Il silenzio lo accompagna, lo custodisce, perché solo nel silenzio riesce a entrare in contatto con gli elementi che usa e con il volto che desidera raffigurare.
Quale sorpresa nello scoprire che anche colui che guarderà l’icona entrerà nel silenzio e nell’ascolto: non più degli elementi e della loro composizione così come l’iconografo; ma del volto, dello sguardo, della bocca, delle mani, delle vesti, delle iscrizioni. Entrerà in contatto con il divino così come l’iconografo aveva sentito, intuito, dentro sé.
Il cuore si riempie di gioia, perché in quell’istante riconosce nel silenzio il trascendente e tocca, entra in contatto con la sua intuizione, la sua fede in qualcosa che c’è già ma non ancora. E si sente attratto, si ferma davanti all’icona. Non è possibile altrimenti. Il tempo si ferma: il presente diventa un attimo di eternità.
Sgorga un’onda di ringraziamento, un pensiero di fiducia: sente che la nostra via è nella bellezza, sente che il nostro cuore e la nostra mente non possono che contemplare umilmente la vita che c’è in noi. Noi, icone del trascendente. (L.P.)