“Basta dighe, il Cile resta senz’acqua”
Il vescovo “verde” all’assemblea degli azionisti Enel
intervista a Mons. Luis Infanti*, a cura di Giacomo Galeazzi
in “La Stampa” del 29 aprile 2010
Monsignor Infanti, perché lei, che è vescovo di una città lontana, Aysen, nella Patagonia cilena, partecipa oggi all’assemblea dell’Enel?
«Le istanze di chi non ha voce sono ignorate là dove si decide: ora i condannati al silenzio parleranno per bocca mia. In maniera illecita la Costituzione varata nel 1980 da Pinochet ha concesso a tempo indeterminato l’80% dell’acqua del Cile alla società spagnola Endesa, poi acquistata da Enel. Neppure un referendum può cambiare le cose. La mia diocesi è grande un terzo dell’Italia e, grazie ai ghiacciai, è la seconda riserva di acqua dolce del mondo. La proprietà dell’”oro blu”, però, non è dei cittadini ma appunto dell’Enel, che adesso vuole costruire cinque enormi dighe per fornire energia idroelettrica alle miniere del Nord».
Perché la Chiesa si oppone?
«Quella dell’Enel è una scelta non rispettosa della natura, che a mio avviso incarna una politica neo-imperialista. In America Latina 130 milioni di persone, il 25% della popolazione, non ha accesso all’acqua potabile. E’ un dovere per la diocesi contrastare la distruzione del creato, un’appropriazione indebita di un bene collettivo, ma anche un’ingerenza straniera, una moderna forma di colonizzazione. Il governo italiano controlla Enel, quindi ha in mano una risorsa vitale del Cile. Spero che la mia richiesta di incontrare Berlusconi e Tremonti venga accolta, nel frattempo sono arrivato a Roma per rappresentare in assemblea la protesta popolare».
Ha informato il Vaticano?
«Purtroppo la Chiesa gerarchica in Cile non è molto sensibile ai temi ambientali, perciò ho trasmesso direttamente alla Santa Sede la mia lettera pastorale “Dacci oggi l’acqua quotidiana”. Inoltre ho parlato con il Papa nella visita “ad limina” e ho incontrato il cardinal Bertone durante il suo viaggio in Cile. E’ una questione etica ed economica di assoluta emergenza. Le tariffe sono aumentate e ai contadini è proibito persino innaffiare i campi con l’acqua dei fiumi che li attraversano. L’Enel in Cile può fare ciò che vuole. Sono qui per chiedere di restituire l’acqua ai cileni e di non distruggere l’ecosistema della Patagonia con le dighe. In Cile la gente può protestare democraticamente quanto vuole, ma poi le decisioni sono in mano a un’élite. I vescovi della Patagonia argentina ci stanno sostenendo perché il problema è mondiale».
In che senso?
«L’acqua è di Dio. Privare popoli di un elemento essenziale per la vita è un grave peccato sociale. Nel pianeta l’acqua dolce non manca, ma è mal distribuita a causa delle privatizzazioni, della massimizzazione dei profitti delle imprese e di una struttura sociale, politica ed economica che salvaguarda gli interessi dei potenti. Le dighe progettate dall’Enel produrrebbero energia per impianti minerari che si trovano a 2.500 chilometri di distanza. Da noi rimarrebbe soltanto il danno, cioè un devastante impatto ambientale».
Qual è l’alternativa?
«La nazionalizzazione del patrimonio idrico. Servono proposte operative, secondo il metodo “vedere, giudicare, agire”. La gestione deve coinvolgere lo Stato, i privati e soprattutto le comunità locali».
*Mons. Luis Infanti è nato a Udine appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e da 35 anni vive in Cile. Da 8 anni è vescovo vicario di Aysén.