Rassegna Stampa

«Sbagliato vietare i luoghi di culto islamici»

di Elena Zuppini

Verona. All'ingresso tè alla menta, offerto in segno di benvenuto; nell'aria suoni arabi; in platea clergyman mescolati a copricapi islamici. C'erano tutti gli ingredienti di «atmosfera» lunedì sera al teatro Stimate di piazza Cittadella per una serata di confronto e di dialogo, voluta dal gruppo «Le 2facce-giovani musulmani e cristiani in cammino», in collaborazione con le associazioni «Il deserto fiorirà» e «Monastero del bene comune» e con il Consiglio islamico di Verona. Ma soprattutto c'era molta sostanza.

A cominciare dal tavolo dei relatori, dove erano seduti Hamza Roberto Piccardo, ligure, convertitosi all'Islam nel 1975 e tra i fondatori dell'Unione delle Comunità e organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii); e padre Paolo Dall'Oglio, gesuita, priore del monastero di Mar Musa in Siria, dove sono approdati nell'agosto del 2006 un gruppo di giovani veronesi, gli stessi che stanno cercando, con i loro coetanei fedeli all'Islam, di costruire anche nella loro città quel clima di armonia tra musulmani e cristiani che hanno respirato nella comunità monastica in mezzo al deserto. Quello di ieri sera è stato infatti il terzo incontro pubblico dell'associazione, ma negli anni il dialogo si è dipanato con visite reciproche nei luoghi di culto e momenti di convivialità.

L'incontro si è aperto con il racconto appassionato di Piccardo del pellegrinaggio a La Mecca, che ha svolto a fine novembre, dopo 22 anni dal primo. Un obbligo per il fedele musulmano, da ottemperare almeno una volta nella vita, se i suoi mezzi glielo consentono, in quanto rappresenta il quinto pilastro dell'Islam. Anche a Mar Musa, un monastero incastonato fra le rocce sui rilievi desertici a nordi di Damasco, arrivano ogni giorno molti pellegrini, musulmani e cristiani, «tutti attratti dalla stessa tensione di Abramo verso Dio», ha detto padre Dall'Oglio.

Ma ben presto il tema della serata, il pellegrinaggio appunto, ha lasciato il posto alla questione della libertà di culto dei musulmani in Italia. «Non si neghi il diritto sancito universalmente di avere un luogo dove pregare per dei semplici cavilli burocratici», ha sottolineato Piccardo. «A volte ci vediamo negare l'apertura di una moschea o imporre la chiusura perché il locale è di pochi metri inferiore a quelli stabiliti per legge, o magari perché i tappeti non sono ignifughi: ve lo assicuriamo, nelle moschee non fuma nessuno! Dateci tempo», ha proseguito, «siamo una comunità debole socialmente e politicamente, nessuno ci viene a trovare in campagna elettorale per raccogliere voti... Chiediamo solamente un po' di comprensione».

Piccardo ha raccontato di una comunità musulmana che si sta chiudendo sempre più pericolosamente in se stessa. «L'80% dei libri che io vendo come editore», ha affermato, «vengono acquistati da musulmani per spiegare, attraverso il dono di essi, chi noi siamo. Non nell'intento di convertire, questo non ci interessa perché Dio fa quello che vuole, ma di farci conoscere al di là di quello che scrivono i mass media e le paure che agitano i politici. Dopo il 2000 questo sforzo di comunicare con l'esterno è venuto meno: me ne accorgo dal grosso calo di vendite che ho avuto. La comunità si sta ripiegando su se stessa, perché così crede di proteggersi».

«Si possono vincere le elezioni solleticando gli istinti più bassi della gente (sempre che poi si riesca a governarli)», è intervenuto padre Dall'Oglio, «ma si può anche costruire le comunità sulla voglia di bene comune e questo dà di gran lunga frutti migliori. Quel che è certo è che la paura dell'Islam produce un Islam che fa paura».

Il gesuita non ha risparmiato nemmeno «alcune guide spirituali cattoliche locali, che da un lato lanciano messaggi politicamente corretti, poi raccomandano di non concedere le sale per la preghiera ai musulmani, perché bisogna fermarli. In questo modo non si fa altro che ghettizzarli: le èlite si ritirano e quel che resta è la parte più fragile della popolazione musulmana, la più pericolosa perché la più disposta a cedere alla rabbia. E motivi di collera ce ne sono molti, qui in Italia come nel resto del mondo. Solo una moschea alla luce del sole produce concordia e prosperità».

Fonte: L’Arena - 24/02/2010