Rassegna Stampa

Ma da noi sono tutti impuniti


di Carlo Federico Grosso


Bernard Madoff, il finanziere americano accusato di avere frodato i suoi clienti per un totale di oltre sessantacinque miliardi di dollari con una sorta di colossale catena di sant'Antonio, è stato condannato da un tribunale di New York a 150 anni di galera. Una condanna indubbiamente esemplare, che segue ad altre condanne altrettanto esemplari pronunciate negli anni scorsi dalla giustizia americana nei confronti di altri finanzieri malfattori (si pensi, per tutti, al caso Enron). Al di là della entità della pena irrogata, colpisce d’altronde la rapidità del giudizio: Madoff era stato arrestato nel dicembre scorso, non appena erano emerse le sue malefatte. In poco più di sei mesi si è arrivati alla sua condanna penale. Anche sotto questo profilo la sentenza americana costituisce un esempio di incisività ed efficienza.


Si potrà discutere se la decisione, a fronte del comportamento processuale dell’imputato, che aveva confessato di avere commesso tutti i delitti dei quali era stato accusato (ben undici imputazioni), ed almeno apparentemente aveva mostrato contrizione ed aveva cercato di collaborare con il giudice chiamato a giudicarlo, sia stata giusta od eccessivamente pesante. Un dato è comunque indiscutibile: che una volta di più la giustizia americana ha dimostrato di non avere difficoltà a colpire con rapidità e durezza chi, chiamato ad operare in una economia di mercato nel rispetto delle regole, tali regole ha violato e calpestato con l’obbiettivo dell'arricchimento selvaggio a danno dei cittadini truffati. Anche in Italia si sono verificati, in questi ultimi anni, scandali finanziari di grandissima entità: Parmalat, Cirio, bond argentini, per citare soltanto i casi più eclatanti. Anche in Italia, come negli Stati Uniti, si sono aperti processi penali. Quanta differenza, tuttavia, nelle giustizie dei due Paesi.


Mentre i giudici americani hanno, bene o male, fatto giustizia, e sono riusciti a farla in tempi rapidissimi, i giudici italiani, per fatti ormai risalenti a cinque o sei anni fa, stanno ancora rincorrendo gli imputati in processi lenti, complessi e faticosi, destinati, in larga misura, ad estinguersi per stanchezza e prescrizione. Si consideri, per tutte, la vicenda Parmalat. Gli autori della colossale truffa e ruberia a danno di azionisti e risparmiatori sono stati incriminati da ben due procure della Repubblica, da quella di Milano, che ha proceduto per i delitti di aggiotaggio, e da quella di Parma, che ha proceduto a sua volta per le bancarotte. Data la difficoltà di gestire, per la loro complessità, le vicende processuali, la tratta milanese si è sfrangiata a sua volta in due processi distinti, quella parmense in una decina di filoni separati. Di tutti questi processi, uno soltanto è giunto, fino ad ora, alla sentenza di primo grado: il primo processo per aggiotaggio contro Tanzi (e altri) celebrato davanti alla prima sezione del Tribunale di Milano, nel quale la maggior parte dei responsabili è riuscita a patteggiare con la Procura pene irrisorie, mentre il solo Tanzi, alla fine del dibattimento, è stato condannato ad una pena di dieci anni di reclusione.


Un risultato deludente. Tanto più deludente se si considera che, dati i tempi dei giudizi di appello e di cassazione, è ragionevole pensare che i delitti contestati risulteranno in ogni caso prescritti prima della sentenza definitiva. Se si valuta che negli Stati Uniti Madoff, raggiunto, come era naturale, da custodia cautelare, ha affrontato il processo agli arresti domiciliari, e si appresta a passare in carcere quanto gli rimane da vivere, mentre in Italia, dopo una breve custodia, lo stesso Tanzi è stato subito scarcerato ed eviterà sicuramente il carcere quand’anche taluna delle pene alle quali fosse definitivamente condannato non dovesse risultare prescritta, la differenza fra la giustizia americana e quella italiana appare, anche sotto questo profilo, enorme. Le vicende parallele della giustizia americana e di quella italiana in materia di criminalità economica dovrebbero pertanto indurre a riflettere chi ha responsabilità di governo: non è tollerabile che in Italia criminali economici e colletti bianchi, sotto la copertura di una giustizia penale complessivamente malfunzionante, siano, comunque sostanzialmente certi della loro impunità, qualunque delitto abbiano commesso. Non a caso il giudice americano che ha condannato Madoff, a commento della sua decisione, ha dichiarato che le sentenze, al di là delle conseguenze che cagionano al condannato, hanno un importante «valore simbolico», in quanto costituiscono un «monito importante» per quanti vorrebbero allo stesso modo delinquere. È ciò che noi chiamiamo «efficacia preventiva» della pena, un principio mai così negletto come di questi tempi.

fonte: da “la Stampa” del 30 giugno 2009