Quel disagio dentro la Chiesa che non si cura con il silenzio
di Alberto Melloni
Si ha oggi la disagevo - le sensazione che in Italia i cristiani per primi credano all' importanza di tante cose e sempre meno all' eloquenza del Vangelo: non come liofilizzato etico o pentecostale, ma nella sua sostanza di comunicazione della figliolanza nella quale si rivela interamente la tenerezza di Dio.
La cosa ha naturalmente conseguenze politiche: spiega il disprezzo per la mediazione democratica, la bulimia «religiosa» del radicalismo di destra, e altre cose. Ma ha conseguenze profonde sulla qualità della vita intima delle comunità, delle parrocchie, del clero, delle diocesi.
Per capirle, senza piagnistei, due ecclesiastici anomali - don Paolo Giannoni, l' eremita di Mosciano, e don Pino Ruggieri, il teologo che fondò con Ratzinger Communio ed ex viceparroco a Catania - hanno scritto una lettera (disponibile sul sito statusecclesiae.net) circolata senza clamore fra poche decine di migliaia di persone: invitava ad un incontro che si è tenuto ieri a Firenze.
Lo scopo era condividere «la sofferenza di non vedere al centro della comune attenzione proprio il Vangelo del Regno annunciato da Gesù ai poveri, ai peccatori, a quanti giacciono sotto il dominio del male»; affermare non una ideologia del concilio (o dell' anticoncilio), ma confessare il concilio come grazia che riassorbe, come dice Benedetto XVI, «l' intera storia dottrinale della Chiesa».
Per preparare questo incontro - che per don Giannoni invoca un «camminare insieme» o in altri termini «sinodale» - sono state raccolte delle testimonianze di gruppi e comunità. Diseguali e molto espressive: della povertà categoriale (il linguaggio del «laico»), dell' analfabetismo biblico, della marginalità eucaristica, del politicismo cronico, di ideologismi e di logiche di rifiuto che hanno davvero formato uno stile troppo condiviso...; ma anche del desiderio che il mutismo, l' esclusione, la precipitazione e l' isolamento vengano superati. Il che non ha nulla a che vedere con la «democrazia» nella Chiesa o la collegialità dei quadri pastorali. Riguarda, invece, il «mistero» della Chiesa, espresso in tante fonti antiche attraverso un significativo intreccio fra il linguaggio eucaristico e il linguaggio sinodale.
Questo esperimento/invocazione sinodale ha avuto un forte accento di speranza, tale da far pensare che sia possibile per la Chiesa sentire come iussiva la pratica di Gesù che «tocca» l' impuro fino rendersi peccato e impurità totale nella sua morte e sepoltura; obbedire alla povertà del Figlio di Dio come cura di una idolatria temporalista nella quale la gerarchia patisce tentazioni non superiori a quelle dei fedeli, dei movimenti, dei gruppi.
Ha fatto sentire i nodi teologici che soggiacciono a quello scisma sommerso (Giannoni ne parlò vent' anni fa) che non divide progressisti e conservatori, ma il cuore e la comunione: e che non si cura col silenzio.
Ha evocato la mai deplorata brutalità che permette anche a chi non ha né giurisdizione né mandato, di dichiarare molesta - in nome della Autorità legittima! - l' esistenza di altri. Insomma quella disabitudine profonda, quasi cronicizzata, al colloquio nella Chiesa, per cui il solo udire le domande difficili che questo tempo pone provoca, come reazione, che queste domande vengano liquidate e scomunicate usando come aspersorio qualche frase papale.
Il desiderio di rivitalizzare questo colloquio, al di là dell' entusiasmo o del fastidio che può suscitare qualche accento, potrebbe incoraggiare i vescovi a cimentarsi con la più difficile delle arti: che è quella dell' ascolto. Senza generalizzare, cogliendo ciò che diversifica oggi da ieri, si può però dire che l' episcopato ha dato l' impressione di credere che tutto si possa misurare col metro fobico. Come se far paura (alla politica) fosse una variante dell' autorevolezza e aver paura (della politica) fosse l' unica premessa ad un discorso crudo sul presente. Se la paura sia stata un bene per la politica lo dirà la storia; che sia un bene per la Chiesa non lo dirà nessuno.
Sarebbe ingenuo pensare che un invito che parte dal basso e lì desidera rimanere abbia chissà quali capacità: ma testimonia il desiderio di molti nella Chiesa di essere ciò che gli ateniesi dicono a san Paolo, raccoglitori di semi, «cornacchie» traduce Giannoni; e di essere, come diceva la liturgia battesimale, dei «com-petenti», cioè che cercano insieme. Sperare la moltiplicazione di momenti d' incontro sinodale fra «cornacchie competenti», non significa rinunciare a capire che specie di donna è quella di questa nostra contemporaneità di vite esplose: ma solo registrare il fatto che è lei che bagna con le sue lacrime i piedi del Redentore, che silenziosamente lo profuma per il mistero della sepoltura, e come sua unica ricompensa ha il fatto che la sua storia diventa parte del Vangelo stesso.
fonte: da "Il Corriere della Sera" del 17 maggio 2009