Pensando

Il Papa in Terra Santa
Il teologo e un dialogo non scontato

di Andrea Riccardi
fondatore della Comunità di Sant’Egidio


Il Papa è in Israele. L’opinione pubblica del Paese scandaglia le sue parole con la consueta vivacità. Per Israele, il Papa e la Chiesa non sono quantité négligeable. Certo Benedetto XVI non è venuto solo per gli ebrei, ma per i Luoghi Santi, i cristiani e i palestinesi. La visita a Israele non è però contorno e cortesia. Paolo VI andò in Terra Santa nel 1964 solo per i Luoghi Santi. E stata ricordata la sua riservatezza verso Israele. Non c’erano rapporti diplomatici tra Vaticano e Israele, stabiliti solo neI 1993. Spingevano al riserbo anche il mondo arabo e i vescovi arabo-cristiani, ostili alla cancellazione (voluta da Montini) dell’accusa di deicidio agli ebrei. Un intellettuale ebreo, André Chouraqui, si lamentò con Maritain: «La voce del nostro popolo non è sentita a Roma dove il tumulto di coloro che non amano gli ebrei è spesso così grande». Dopo quarant’anni Chouraqui, morto nel 2007, non lo direbbe più. In questi giorni ho la sensazione che, da Gerusalemme, Benedetto XVI manifesti un grande disegno di dialogo. Forse non tutti se ne sono accorti. Ci sono alcune nubi. Si ricorderà la polemica sul vescovo negazionista WiIliamson. Qualche nube è di questi giorni: alcuni rimproverano al Papa di non aver toccato la sensibilità ebraica sulla Shoah. Soprattutto è invalsa ormai l’abitudine (in parte dell’opinione pubblica) di guardare sempre a quel che manca al messaggio di Benedetto XVI, per paragonarlo a suo svantaggio con il predecessore. E invece da considerare che Benedetto XVI ha fortemente voluto il viaggio in Terra Santa, pesante per i suoi 82 anni. Avrebbe avuto motivi per restare a Roma. Inoltre ha già annunciato la visita alla sinagoga di Roma. Il Papa tiene agli appuntamenti con l’ebraismo.
Benedetto XVI viene a visitare Israele e gli ebrei. Lo fa dopo Giovanni Paolo II che, dal 1986, alla sinagoga di Roma, ha segnato una svolta, dichiarando la fraternità intrinseca tra fede cristiana e ebraismo. Nel 2000 dopo il suo viaggio in Terra Santa, parlando dell’accoglienza degli ebrei, mi disse: «In quei giorni è successo qualcosa!». Benedetto XVI si è mosso su questi passi. Forse molti non sanno quanto il teologo Ratzinger abbia approfondito i rapporti ebraico-cristiani. Non è senza conseguenza nel cammino di un Papa teologo. La meditazione a Yad Vashem sui nomi delle vittime s’iscrive nella riflessione di un Papa che non fa discorsetti d’occasione. Benedetto XVI dice quel che crede e sente, radicandolo in una visione teologica. Così differisce da molti leader del nostro tempo che dicono quel che la gente si aspetta e poi lo dimenticano rapidamente. Chi era a Yad Vashem, come chi scrive, ha percepito la commozione del Papa. A un certo punto Benedetto XVI ha parlato dei bambini assassinati nella Shoah mettendosi dalla parte dei loro genitori: «Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati a un destino così lacrimevole?». Ieri, al rabbinato d’Israele, ha insistito su un’amicizia fondata sulla fiducia. In una terra di diffidenze cementate tra mondi religiosi, ha insistito sulla fiducia: la «sicurezza», tema caro a Israele, deriva dalla fiducia, creatrice di calma e confidenza - ha ricordato al presidente Peres.
Gli ebrei hanno un posto speciale nel dialogo fin dal Concilio. Ma il Papa ha voluto parlare anche con l’islam. Mi sembra che, a Gerusalemme, abbia tracciato per il futuro un disegno ambizioso di dialogo religioso e culturale tra le religioni. Sarebbe un errore sottovalutare questa proposta, perché non espressa da gesti spettacolari. Le parole del Papa vanno lette e non solo ascoltate alla ricerca di una frase a effetto. Benedetto XVI propone una paziente tessitura tra le religioni per «proclamare con chiarezza - dice - ciò che noi abbiamo in comune». Il pluralismo religioso gli sembra inquietare la monocultura piatta della globalizzazione. La visione del Papa è, con il dialogo, «creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio». In un mondo globalizzato e stordito, che cerca rassicurazione nel solito politically correct (per non cambiare niente), non è una proposta originale, fatta con le meditate parole e i passi di un Papa, carico di anni e di storia?