La speranza non è ideologia o slogan ma vita con Cristo
di Benedetto XVI,
in occasione della Celebrazione Eucaristica
nel quarto anno della morte di Giovanni Paolo II
Cari fratelli e sorelle!
Quattro anni or sono, proprio in questo giorno, l’amato mio Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, concludeva il suo pellegrinaggio terreno, dopo un non breve periodo di grande sofferenza. Celebriamo la Santa Eucaristia in suffragio della sua anima, mentre ringraziamo il Signore di averlo dato alla Chiesa, per tanti anni, come zelante e generoso Pastore. Ci riunisce questa sera il suo ricordo, che continua ad essere vivo nel cuore della gente, come dimostra anche l’ininterrotto pellegrinaggio di fedeli alla sua tomba, nelle Grotte Vaticane. È pertanto con emozione e gioia che presiedo questa Santa Messa, mentre saluto e ringrazio per la presenza voi, venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, e voi, cari fedeli venuti da varie parti del mondo, specialmente dalla Polonia, per tale significativa ricorrenza.
W szczególny sposób pragne pozdrowic Polaków, polska mlodziez. W czwarta rocznice smierci Jana Pawla ii przyjmijcie jego wezwanie: “Nie lekajcie sie zawierzyc Chrystusowi. On was poprowadzi, da wam sile, byscie szli za Nim kazdego dnia i w kazdej sytuacji” (Tor Vergata, Czuwanie modlitewne 19.08.2000). Niech ta mysl Slugi Bozego przewodzi wam na drogach zycia, niech prowadzi was ku radosci poranka Zmartwychwstania.
[Vorrei salutare i polacchi, in modo particolare, la gioventù polacca. Nel quarto anniversario della morte di Giovanni Paolo II accogliete il suo appello: “Non abbiate paura di affidarvi a Cristo. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione” (Tor Vergata, Veglia di preghiera 19.08.2000). Vi auguro che questo pensiero del Servo di Dio vi guidi nelle strade della vostra vita, e vi conduca alla felicità del mattino della Risurrezione.]
Saluto il Cardinale Vicario, il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, il caro Cardinale Stanislao, gli altri Cardinali e gli altri Presuli; saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Saluto in modo speciale voi, amati giovani di Roma, che con questa celebrazione vi preparate alla Giornata Mondiale della Gioventù, che vivremo insieme domenica prossima, Domenica delle Palme. La vostra presenza mi richiama alla mente l’entusiasmo che Giovanni Paolo II sapeva infondere nelle nuove generazioni. La sua memoria è stimolo per tutti noi, raccolti in questa Basilica dove in molte occasioni egli ha celebrato l’Eucaristia, a lasciarci illuminare ed interpellare dalla Parola di Dio, poc’anzi proclamata.
Il Vangelo di questo giovedì della quinta settimana di Quaresima propone alla nostra meditazione l’ultima parte del capitolo viii del Vangelo di Giovanni, che contiene - come abbiamo sentito - una lunga disputa sull’identità di Gesù. Poco prima Egli si è presentato come “la luce del mondo” (v. 12), usando per ben tre volte (vv. 24.28.58) l’espressione “Io Sono”, che in senso forte richiama il nome di Dio rivelato a Mosè (cfr. Es 3, 14). Ed aggiunge: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte” (v.51), dichiarando così di essere stato mandato da Dio, che è suo Padre, a portare agli uomini la libertà radicale dal peccato e dalla morte, indispensabile per entrare nella vita eterna. Le sue parole però feriscono l’orgoglio degli interlocutori, ed anche il riferimento al grande patriarca Abramo diventa motivo di conflitto. “In verità, in verità io vi dico: - afferma il Signore - prima che Abramo fosse, Io Sono” (8, 58). Senza mezzi termini, dichiara la sua pre-esistenza e, dunque, la sua superiorità rispetto ad Abramo, suscitando - comprensibilmente - la reazione scandalizzata dei Giudei. Ma non può tacere Gesù la propria identità; sa che, alla fine, sarà il Padre stesso a rendergli ragione, glorificandolo con la morte e la risurrezione, perché proprio quando sarà innalzato sulla croce si rivelerà come l’unigenito Figlio di Dio (cfr. Gv 8, 28; Mc 15, 39).
Cari amici, meditando su questa pagina del Vangelo di Giovanni, viene spontaneo considerare quanto sia difficile in verità rendere testimonianza a Cristo. Ed il pensiero va all’amato Servo di Dio Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II, che sin da giovane si mostrò intrepido e ardito difensore di Cristo: per Lui non esitò a spendere ogni energia al fine di diffonderne dappertutto la luce; non accettò di scendere a compromessi quando si trattava di proclamare e difendere la sua Verità; non si stancò mai di diffondere il suo amore. Dall’inizio del pontificato sino al 2 aprile del 2005, non ebbe paura di proclamare, a tutti e sempre, che solo Gesù è il Salvatore e il vero Liberatore dell’uomo e di tutto l’uomo.
Nella prima lettura abbiamo sentito le parole ad Abramo: “Ti renderò molto, molto fecondo” (Gen 17, 6). Se testimoniare la propria adesione al Vangelo non è mai facile, è certamente di conforto la certezza che Dio rende fecondo il nostro impegno, quando è sincero e generoso. Anche da questo punto di vista significativa ci appare l’esperienza spirituale del Servo di Dio Giovanni Paolo II. Guardando alla sua esistenza, vi vediamo come realizzata la promessa di fecondità fatta da Dio ad Abramo, ed echeggiata nella prima lettura tratta dal libro della Genesi. Si potrebbe dire che specialmente negli anni del suo lungo pontificato, egli ha generato alla fede molti figli e figlie. Ne siete segno visibile voi, cari giovani presenti questa sera: voi, giovani di Roma e voi, giovani venuti da Sydney e da Madrid, a rappresentare idealmente le schiere di ragazzi e ragazze che hanno partecipato alle ormai 23 Giornate Mondiali della Gioventù, in varie parti del mondo. Quante vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, quante giovani famiglie decise a vivere l’ideale evangelico e a tendere alla santità sono legate alla testimonianza e alla predicazione del mio venerato Predecessore! Quanti ragazzi e ragazze si sono convertiti, o hanno perseverato nel loro cammino cristiano grazie alla sua preghiera, al suo incoraggiamento, al suo sostegno e al suo esempio!
È vero! Giovanni Paolo II riusciva a comunicare una forte carica di speranza, fondata sulla fede in Gesù Cristo, il quale “è lo stesso ieri, oggi e per sempre” (Eb 13, 8), come recitava il motto del Grande Giubileo del 2000. Come padre affettuoso e attento educatore, indicava sicuri e saldi punti di riferimento indispensabili per tutti, in special modo per la gioventù. E nell’ora dell’agonia e della morte, questa nuova generazione volle manifestargli di aver compreso i suoi ammaestramenti, raccogliendosi silenziosamente in preghiera in piazza San Pietro e in tanti altri luoghi del mondo. Sentivano, i giovani, che la sua scomparsa costituiva una perdita: moriva il “loro” Papa, che consideravano “loro padre” nella fede. Avvertivano al tempo stesso che lasciava loro in eredità il suo coraggio e la coerenza della sua testimonianza. Non aveva egli sottolineato più volte il bisogno di una radicale adesione al Vangelo, esortando adulti e giovani a prendere sul serio questa comune responsabilità educativa? Anch’io, come sapete, ho voluto riprendere questa sua ansia, soffermandomi in diverse occasioni a parlare dell’urgenza educativa che concerne oggi le famiglie, la Chiesa, la società e specialmente le nuove generazioni. Nell’età della crescita, i ragazzi hanno bisogno di adulti capaci di proporre loro principi e valori; avvertono il bisogno di persone che sappiano insegnare con la vita, ancor prima che con le parole, a spendersi per alti ideali.
Ma dove attingere luce e saggezza per portare a compimento questa missione, che tutti ci coinvolge nella Chiesa e nella società? Certamente non basta far appello alle risorse umane; occorre fidarsi anche e in primo luogo dell’aiuto divino. “Il Signore è fedele per sempre”: così abbiamo pregato poco fa nel Salmo responsoriale, certi che Iddio non abbandona mai quanti a Lui restano fedeli. Ciò richiama il tema della 24 Giornata Mondiale della Gioventù, che sarà celebrata a livello diocesano domenica prossima. Esso è tratto dalla prima Lettera a Timoteo di san Paolo: “Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (4, 10). L’Apostolo parla a nome della comunità cristiana, a nome di quanti hanno creduto in Cristo e sono diversi dagli “altri che non hanno speranza” (1 Ts 4, 13), proprio perché invece sperano, nutrono cioè fiducia nel futuro, una fiducia non basata solo su idee o previsioni umane, bensì su Dio, il “Dio vivente”.
Cari giovani, non si può vivere senza sperare. L’esperienza mostra che ogni cosa, e la nostra vita stessa sono a rischio, possono crollare per qualche motivo a noi interno o esterno, in qualsiasi momento. È normale: tutto ciò che è umano, e dunque anche la speranza, non ha fondamento in se stesso, ma necessita di una “roccia” a cui ancorarsi. Ecco perché Paolo scrive che la speranza umana i cristiani sono chiamati a fondarla sul “Dio vivente”. Solo in Lui diventa sicura e affidabile. Anzi solo Dio, che in Gesù Cristo ci ha rivelato la pienezza del suo amore, può essere la nostra salda speranza. In Lui, nostra speranza, infatti siamo stati salvati (cfr. Rm 8, 24).
Fate però attenzione: in momenti come questo, dato il contesto culturale e sociale nel quale viviamo, potrebbe essere più forte il rischio di ridurre la speranza cristiana a ideologia, a slogan di gruppo, a rivestimento esteriore. Nulla di più contrario al messaggio di Gesù! Egli non vuole che i suoi discepoli “recitino” una parte, magari quella della speranza. Egli vuole che essi “siano” speranza, e possono esserlo soltanto se restano uniti a Lui! Vuole che ognuno di voi, cari giovani amici, sia una piccola sorgente di speranza per il suo prossimo, e che tutti insieme diventiate un’oasi di speranza per la società all’interno della quale siete inseriti. Ora, questo è possibile ad una condizione: che viviate di Lui e in Lui, mediante la preghiera e i Sacramenti, come vi ho scritto nel Messaggio di quest’anno. Se le parole di Cristo rimangono in noi, possiamo propagare la fiamma di quell’amore che Egli ha acceso sulla terra; possiamo portare alta la fiaccola della fede e della speranza, con la quale avanziamo verso di Lui, mentre ne attendiamo il ritorno glorioso alla fine dei tempi. È la fiaccola che il Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato in eredità. L’ha consegnata a me, come suo successore; ed io questa sera la consegno idealmente, ancora una volta, in un modo speciale a voi, giovani di Roma, perché continuiate ad essere sentinelle del mattino, vigili e gioiosi in quest’alba del terzo millennio. Rispondete generosamente all’appello di Cristo! In particolare, durante l’Anno Sacerdotale che inizierà il 19 giugno prossimo, rendetevi prontamente disponibili, se Gesù vi chiama, a seguirlo nella via del sacerdozio e della vita consacrata.
“Ecco ora il momento favorevole; è questo il giorno della salvezza!” Al canto al Vangelo, la liturgia ci ha esortati a rinnovare ora, - ed ogni istante è “momento favorevole” - la nostra decisa volontà di seguire Cristo, certi che Egli è la nostra salvezza. Questo, in fondo, è il messaggio che ci ripete questa sera il caro Papa Giovanni Paolo II. Mentre affidiamo la sua anima eletta alla materna intercessione della Vergine Maria che ha sempre amato teneramente, speriamo vivamente che dal Cielo non cessi di accompagnarci e di intercedere per noi. Aiuti ciascuno di noi a vivere, come lui ha fatto, ripetendo giorno dopo giorno a Dio, per mezzo di Maria con piena fiducia: Totus tuus. Amen!
fonte: "l'Osservatore Romano" del 4 aprile 2009