Il coraggio di essere cristiani in Terra Santa
omelia del Patriarca di Gerusalemme dei Latini
nella basilica del santo sepolcro
L'omelia del Patriarca di Gerusalemme dei Latini nella basilica del santo sepolcro Gerusalemme, 14. "Noi cristiani abbiamo coraggio. Osiamo ancora parlare di Pasqua, di gioia e di vittoria sulla morte, quando continuiamo a contare centinaia di migliaia di vittime di guerre, malattie e catastrofi naturali in tutto il mondo. Osiamo credere nella vittoria sul male e sulla morte mentre quotidianamente immagini di violenza e di guerra ci circondano. Osiamo credere nella vittoria sul male e sulla morte mentre la Terra Santa è stata appena crudelmente insanguinata a Gaza". È il punto centrale dell'omelia della concelebrazione eucaristica presieduta, domenica di Pasqua, dal Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, nella basilica del santo sepolcro. Migliaia i fedeli che hanno partecipato al rito, altrettanti quelli rimasti all'esterno della chiesa, illuminata dai ceri tenuti in mano dai pellegrini. Subito dopo la cerimonia, una processione, partita dal santo sepolcro, si è sviluppata lungo le vie della città vecchia di Gerusalemme.
I cristiani "coraggiosi" - ha continuato Twal - credono e sperano "perché Cristo, che ci ha promesso la vittoria e la pace, sa cos'è la sofferenza. Non ha fatto finta di soffrire: il dolore egli lo ha vissuto realmente, nel suo cuore e nel suo corpo. È stato abbandonato, rifiutato dai suoi. Ha condiviso la nostra umanità fino alla fine, fino all'angoscia, fino all'abbandono, fino alla morte, dalla quale è uscito vincitore". Per il Patriarca, "nella vita quotidiana siamo tutti, in una maniera o nell'altra, toccati dalla sconfitta, dalla sofferenza fisica o morale, da periodi di solitudine, di dubbio, di abbandono, a causa della malattia o dell'età". Ci sono "piccole morti del quotidiano", con le quali ci confrontiamo, "senza parlare di quella che ci attende al termine della nostra vita".
Fouad Twal, all'inizio della sua omelia, ha ricordato le parole di Maria di Màgdala vicino al sepolcro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto". Maria Maddalena - ha spiegato il Patriarca di Gerusalemme dei Latini - "è smarrita per aver perso il suo Signore. Non è la sola: folle e folle di giovani e meno giovani, oggi come ieri, cercano il Signore e non lo trovano, né nella politica né nell'economia, né nella giustizia internazionale, né nelle costituzioni dei Paesi che si dicono cristiani e moderni. Da sempre - ha continuato - anche Dio cerca di raggiungerci per trovare il suo posto nelle nostre vite e salvarci dai noi stessi. Per incontrarci e farci condividere la sua natura divina, arriva fino ad incarnarsi. Egli è entrato nella storia umana, entra nella storia della nostra Chiesa, entra nella nostra vita personale. E ogni volta che vi entra, è Pasqua".
Sabato mattina Twal aveva guidato i riti della vigilia al santo sepolcro, accompagnato da una cinquantina di sacerdoti concelebranti, dai seminaristi del patriarcato e dai francescani, custodi dei luoghi santi. La stessa assemblea si è poi ritrovata, nel pomeriggio, per la processione solenne seguita dai vespri. Verso le 19 ha proseguito i riti della vigilia la parrocchia latina di lingua araba di Gerusalemme, seguita dalla tradizionale processione degli scout. A mezzanotte e mezza si è tenuta la liturgia delle ore celebrata dalla comunità francescana, guidata dal custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa. La messa del giorno di Pasqua si è svolta in comunione con i fratelli copti che, durante la processione attorno alla tomba del Risorto, al termine del rito, hanno interrotto il loro ufficio delle Palme per lasciar passare i fedeli, intonando canti di giubilo e manifestando la loro calorosa comunione al Patriarca Twal. Contemporaneamente, i siriaci-ortodossi nella propria cappella, gli armeni nella loro galleria superiore e i greci-ortodossi nel Katolikon hanno celebrato le rispettive liturgie.
"Ancor prima di accoglierlo festosamente in questi giorni nelle nostre celebrazioni e di proclamare la sua risurrezione - ha detto Fouad Twal nell'omelia - Dio lo abbiamo incontrato nel cammino della nostra vita, nella famiglia, sul lavoro, in tutte le piccole battaglie che dobbiamo sostenere e nei piccoli sacrifici che ci siamo imposti durante questa Quaresima. La Galilea, dove Gesù ha dato appuntamento ai suoi apostoli dopo la risurrezione, rappresenta tutti i luoghi dove vivono gli uomini: i poveri, i malati, gli esclusi, le vittime della violenza, i peccatori come noi e i potenti di questo mondo che hanno eliminato il Signore dalla società e non gli vogliono più far posto. Ma Dio - ha sottolineato il Patriarca di Gerusalemme dei Latini - è ostinato nel suo amore: egli continua a venire, senza stancarsi, offrendo gratuitamente la sua misericordia, il suo perdono e il suo amore. Bisogna credergli, viverlo, celebrarlo e rendere le nostre vite gioiose nell'amore. Questa è la Pasqua: la sua resurrezione è la promessa e la garanzia della nostra resurrezione".
Per il Patriarca "è in tutto questo e malgrado questo che abbiamo il coraggio di cantare il nostro Alleluia". Dio "è più forte della morte" e "rinnova la vita ogni volta che scegliamo di servire e di amare", Dio "fa opera di risurrezione nella nostra vita, ogni volta che preferiamo il perdono all'odio, ogni volta che lasciamo che l'amore e la pace crescano fra gli uomini". È "vita e resurrezione" quando "nascono figli di Dio mediante il battesimo, nella notte del sabato santo"; è vita e resurrezione ogni volta che "ci sentiamo membra viventi di questa Chiesa: non membra morte o dormienti, ma membra vive, consapevoli, fedeli e responsabili, con gioia e ottimismo".
Nel giorno di Pasqua - ha concluso il Patriarca di Gerusalemme dei Latini - "noi proclamiamo il nostro Alleluia. Lo facciamo innanzitutto in famiglia e tra noi. Ma non dobbiamo vergognarci di mostrare all'esterno la nostra fede in Gesù resuscitato, attraverso la nostra testimonianza, la nostra gioia e la nostra carità fraterna. Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, davanti a Dio e davanti agli uomini!".
Ieri, lunedì "dell'Angelo", come tradizione, le comunità cattoliche di Terra Santa hanno compiuto un pellegrinaggio al santuario di Emmaus-El Qubeibeh per ricordare l'episodio dei discepoli sulla strada di Emmaus raccontato nel Vangelo di Luca (24, 13-35). Dopo il solenne rito pontificale, presieduto da padre Pizzaballa, sono state benedette alcune ceste di pane, poi distribuito ai fedeli
I cristiani "coraggiosi" - ha continuato Twal - credono e sperano "perché Cristo, che ci ha promesso la vittoria e la pace, sa cos'è la sofferenza. Non ha fatto finta di soffrire: il dolore egli lo ha vissuto realmente, nel suo cuore e nel suo corpo. È stato abbandonato, rifiutato dai suoi. Ha condiviso la nostra umanità fino alla fine, fino all'angoscia, fino all'abbandono, fino alla morte, dalla quale è uscito vincitore". Per il Patriarca, "nella vita quotidiana siamo tutti, in una maniera o nell'altra, toccati dalla sconfitta, dalla sofferenza fisica o morale, da periodi di solitudine, di dubbio, di abbandono, a causa della malattia o dell'età". Ci sono "piccole morti del quotidiano", con le quali ci confrontiamo, "senza parlare di quella che ci attende al termine della nostra vita".
Fouad Twal, all'inizio della sua omelia, ha ricordato le parole di Maria di Màgdala vicino al sepolcro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto". Maria Maddalena - ha spiegato il Patriarca di Gerusalemme dei Latini - "è smarrita per aver perso il suo Signore. Non è la sola: folle e folle di giovani e meno giovani, oggi come ieri, cercano il Signore e non lo trovano, né nella politica né nell'economia, né nella giustizia internazionale, né nelle costituzioni dei Paesi che si dicono cristiani e moderni. Da sempre - ha continuato - anche Dio cerca di raggiungerci per trovare il suo posto nelle nostre vite e salvarci dai noi stessi. Per incontrarci e farci condividere la sua natura divina, arriva fino ad incarnarsi. Egli è entrato nella storia umana, entra nella storia della nostra Chiesa, entra nella nostra vita personale. E ogni volta che vi entra, è Pasqua".
Sabato mattina Twal aveva guidato i riti della vigilia al santo sepolcro, accompagnato da una cinquantina di sacerdoti concelebranti, dai seminaristi del patriarcato e dai francescani, custodi dei luoghi santi. La stessa assemblea si è poi ritrovata, nel pomeriggio, per la processione solenne seguita dai vespri. Verso le 19 ha proseguito i riti della vigilia la parrocchia latina di lingua araba di Gerusalemme, seguita dalla tradizionale processione degli scout. A mezzanotte e mezza si è tenuta la liturgia delle ore celebrata dalla comunità francescana, guidata dal custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa. La messa del giorno di Pasqua si è svolta in comunione con i fratelli copti che, durante la processione attorno alla tomba del Risorto, al termine del rito, hanno interrotto il loro ufficio delle Palme per lasciar passare i fedeli, intonando canti di giubilo e manifestando la loro calorosa comunione al Patriarca Twal. Contemporaneamente, i siriaci-ortodossi nella propria cappella, gli armeni nella loro galleria superiore e i greci-ortodossi nel Katolikon hanno celebrato le rispettive liturgie.
"Ancor prima di accoglierlo festosamente in questi giorni nelle nostre celebrazioni e di proclamare la sua risurrezione - ha detto Fouad Twal nell'omelia - Dio lo abbiamo incontrato nel cammino della nostra vita, nella famiglia, sul lavoro, in tutte le piccole battaglie che dobbiamo sostenere e nei piccoli sacrifici che ci siamo imposti durante questa Quaresima. La Galilea, dove Gesù ha dato appuntamento ai suoi apostoli dopo la risurrezione, rappresenta tutti i luoghi dove vivono gli uomini: i poveri, i malati, gli esclusi, le vittime della violenza, i peccatori come noi e i potenti di questo mondo che hanno eliminato il Signore dalla società e non gli vogliono più far posto. Ma Dio - ha sottolineato il Patriarca di Gerusalemme dei Latini - è ostinato nel suo amore: egli continua a venire, senza stancarsi, offrendo gratuitamente la sua misericordia, il suo perdono e il suo amore. Bisogna credergli, viverlo, celebrarlo e rendere le nostre vite gioiose nell'amore. Questa è la Pasqua: la sua resurrezione è la promessa e la garanzia della nostra resurrezione".
Per il Patriarca "è in tutto questo e malgrado questo che abbiamo il coraggio di cantare il nostro Alleluia". Dio "è più forte della morte" e "rinnova la vita ogni volta che scegliamo di servire e di amare", Dio "fa opera di risurrezione nella nostra vita, ogni volta che preferiamo il perdono all'odio, ogni volta che lasciamo che l'amore e la pace crescano fra gli uomini". È "vita e resurrezione" quando "nascono figli di Dio mediante il battesimo, nella notte del sabato santo"; è vita e resurrezione ogni volta che "ci sentiamo membra viventi di questa Chiesa: non membra morte o dormienti, ma membra vive, consapevoli, fedeli e responsabili, con gioia e ottimismo".
Nel giorno di Pasqua - ha concluso il Patriarca di Gerusalemme dei Latini - "noi proclamiamo il nostro Alleluia. Lo facciamo innanzitutto in famiglia e tra noi. Ma non dobbiamo vergognarci di mostrare all'esterno la nostra fede in Gesù resuscitato, attraverso la nostra testimonianza, la nostra gioia e la nostra carità fraterna. Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, davanti a Dio e davanti agli uomini!".
Ieri, lunedì "dell'Angelo", come tradizione, le comunità cattoliche di Terra Santa hanno compiuto un pellegrinaggio al santuario di Emmaus-El Qubeibeh per ricordare l'episodio dei discepoli sulla strada di Emmaus raccontato nel Vangelo di Luca (24, 13-35). Dopo il solenne rito pontificale, presieduto da padre Pizzaballa, sono state benedette alcune ceste di pane, poi distribuito ai fedeli
fonte: da "l'Osservatore romano" del 14-15 aprile 2009