Pensando

Un tempo di conversione dalla barbarie

Enzo Bianchi

Il tempo della quaresima – i quaranta giorni che precedono la Pasqua – è stato vissuto dalla chiesa fin dai primissimi secoli come tempo propizio, come opportunità di conversione, cioè di ritorno all’autenticità del vissuto della propria fede. Era durante la quaresima che i catecumeni adulti venivano istruiti e si preparavano a ricevere il battesimo nella notte di Pasqua; era durante la quaresima che i pubblici peccatori facevano penitenza in vista della riammissione alla piena comunione ecclesiale; era durante la quaresima che un’intensificata prassi di preghiera e di digiuno alimentava la vigilanza e il discernimento delle situazioni di bisogno presenti nella comunità e favoriva la solidarietà e la condivisione. Un tempo “forte” dell’identità cristiana che da un lato fa emergere come l’orientamento etico e il comportamento quotidiano del cristiano scaturiscano dalla proclamazione e dalla celebrazione della risurrezione di Gesù Cristo dai morti e, dall’altro, orienta l’esistenza verso quel mistero di fede. Sono aspetti fondamentali del cristianesimo che la chiesa non ha mai trascurato nel corso della sua storia bimillenaria, ma che oggi appaiono forse meno evidenti in una società sempre più dominata da altri parametri di riferimento o da altri costumi.
Ancora oggi, in una stagione in cui giustamente ciascuno cerca nella propria identità e nelle proprie radici, anche religiose, i principi basilari sui quali normare il proprio agire quotidiano e il contributo al bene comune, la quaresima potrebbe essere per i cristiani una preziosa occasione da vivere con serietà e autenticità, riscoprendone la dimensione fondamentale di conversione al Signore e al suo vangelo e offrendo così spunti di riflessione, valori di riferimento e modelli di comportamento significativi anche per chi non condivide la stessa fede. Quando, come oggi, siamo bombardati da messaggi come “di tutto, di più” e “consumate, aumentate i consumi”, e così siamo invitati a immedesimarci negli oggetti da comprare e possedere, quando i modelli offerti sono quelli del successo, della vanità, dell’apparire, dell’aggressività del vincitore, cristiani e non cristiani dovremmo saper reagire in modo da risvegliare una coscienza individuale e sociale capace di far riferimento a un’etica. La sobrietà, cioè il controllo sui propri appetiti, così come il maggior silenzio, l’ascolto, la vigilanza, la solidarietà, il ripensamento sui propri comportamenti possono aiutare anche la società in cui i cristiani vivono come cittadini con pari diritti e doveri a una pausa di riflessione e a una presa di distanza rispetto alla china pericolosa verso la barbarie che sembra impossessarsi progressivamente dei rapporti sociali.
Giorno dopo giorno assistiamo infatti a un susseguirsi di progetti, proclami, proposte, disegni, decreti, emendamenti di cui si riesce a stento a seguire l’effettivo iter legislativo e lo status giuridico: in un continuo rincorrersi di emergenze, di crisi e di ansie – in cui nulla aiuta a distinguere cosa sia causa e cosa effetto – si è fatto strada il concetto di reato legato non a un’azione specifica ma a una condizione di esistenza, la presenza irregolare sul territorio italiano; si sono autorizzati medici e operatori sanitari a denunciare anziché curare quei pochi assistiti cui la gravità della malattia farà vincere la paura di uscire allo scoperto, vanificando così il diritto alla salute riconosciuto a qualunque essere umano; si è affidato l’ordine e la sicurezza nei luoghi pubblici non più in esclusiva alle forze costituzionalmente a ciò predisposte e contando non su una collaborazione legale dei cittadini, ma su gruppi di persone attratte dalla giustizia fai da te; si assiste a episodi sempre più frequenti di violenza gratuita e selvaggia perpetrata a danno dei più deboli, siano esse donne sole, immigrati, minori, disabili o mendicanti; si prevede la schedatura di senzatetto di cui si cerca di conoscere le generalità e non le cause del disagio, al punto da non preoccuparsi se nel frattempo finiscono per morire di freddo; si realizza l’identificazione forzata di bambini di un’etnia minoritaria al fine millantato di favorirne l’inserimento nella società e parallelamente si programma l’emarginazione dei minori stranieri da quel luogo ideale dell’integrazione che è la scuola pubblica.
Reagire a questa barbarie che da strisciante si sta facendo galoppante non spetta certo solo ai cristiani: non è infatti indispensabile riferirsi al vangelo, agli insegnamenti e al comportamento di Gesù per rabbrividire di fronte a certi atteggiamenti mentali che si traducono sempre più spesso in azioni indegne di un essere umano. Ma i cristiani dovrebbero avere nel loro patrimonio genetico, nell’identità di cui a ragione vanno fieri gli anticorpi indispensabili per un sussulto di umanità, per un’inversione di rotta, per il ritrovamento di un cammino smarrito. E questa identità capace di umanizzazione può essere ancora oggi alimentata e rinvigorita da strumenti antichi ma sempre efficaci: la familiarità con la parola di Dio, il riferimento al modo di parlare e di agire di Gesù, la disponibilità a esaminare se stessi e i propri moti interiori per fuggire il male e ricercare il bene, per ricominciare ogni giorno a ritrovare in se stessi e a fare emergere nell’altro quell’immagine e somiglianza con Dio che è patrimonio di ogni essere umano.
Non si pensi che questi siano devoti esercizi individuali, utili per acquisire un benessere un po’ intimista ed etereo ma privi di ricadute efficaci sul terreno sociale: sono invece antidoti capaci di fronteggiare lo smarrimento, la perdita di senso, l’offuscamento di ideali condivisi che stanno rapidamente deteriorando la vita della collettività e la tenuta del patto costituzionale su cui essa si fonda. Se il tempo quaresimale in cui sono entrati i cristiani servisse a far loro ritrovare lo specifico della propria fede e a rinvigorirne le energie nell’attuazione quotidiana del vangelo professato, allora ne beneficerebbe anche l’insieme della società e la possibilità di un dialogo sereno e costruttivo. Sì, perché – e va detto con chiarezza e convinzione – o la fede cristiana ha una rilevanza, uno spessore umano oppure non è vera fede cristiana: il cristianesimo è sempre un umanesimo, anzi la sua qualità si misura proprio sul suo essere una umanizzazione autentica o sul suo contraddire l’uomo e la polis, la communitas, che egli può costruire nella giustizia, nella pace e nella riconciliazione.

Fonte: "La Stampa" del 1 marzo 2009