Rassegna Stampa

"La proposta di Berlusconi ammala la democrazia"

di Andrea Carugati

«In questo momento di crisi economica ci accorgiamo, non solo in Italia, che la democrazia è una forma di convivenza sempre a rischio. Ci siamo illusi, dopo la caduta dei totalitarismi, che fosse un regime naturale. Eppure non è così, ci sono dei momenti in cui si pensa che sia meglio affidare la soluzione dei problemi a qualcuno che dice “ci penso io”. È un rischio che riguarda da vicino l’Italia di oggi». Gustavo Zagrebelsky ha un tono di voce pacato, lontano da ogni allarmismo o invettiva. Ma la sua analisi sulla democrazia italiana è preoccupata. Anche per questo ha accettato di presiedere il comitato che ha organizzato a Torino, dal 22 al 26 aprile, la «Biennale democrazia»: 4 giorni di lezioni pubbliche a Torino su questo tema, con grandi intellettuali che si ritrovano nel nome di Norberto Bobbio.


Qual è lo scopo di questa manifestazione?

«Si è pensato a lungo che non ci fosse bisogno di una educazione alla democrazia, che avrebbe funzionato spontaneamente. Eppure l’esperienza storica dimostra che non è così. C’è un capitolo nei “Fratelli Karamazov” in cui il Grande Inquisitore espone il suo progetto di governo con ... una premessa: ciò che gli uomini odiano di più è la libertà, è un peso di cui spesso si vuole fare a meno per evitare le responsabilità. Le fasi di crisi economica e sociale sono sempre state favorevoli all’instaurazione di regimi autoritari. Per questo bisogna suonare un campanello di allarme».


L’Italia le appare più fragile di altre democrazie occidentali?

«Da noi manca un elemento decisivo, e cioè l’idea che la sfera pubblica sia qualcosa che tutti devono curare. In Italia ciò che è pubblico appare a disposizione di chi è più capace di saccheggiarlo. C’è una mentalità diffusa non favorevole al radicamento della democrazia. Bobbio diceva che gli italiani sono democratici più per assuefazione che per convinzione».


Questi ingredienti possono essere esplosivi?

«È difficile fare previsioni: c’è sicuramente un malessere della democrazia che è profondamente radicato e trova alimento in una società sempre più squilibrata, dal punto di vista economico ma anche delle risorse culturali. C’è una società sempre più oligarchica. E la legge elettorale, che consente ai vertici dei partiti di cooptare i parlamentari dall’alto, ha un ruolo molto negativo».


Berlusconi ha addirittura proposto che in Parlamento votino solo i capigruppo...


«È il logico compimento di un processo distorto: se i parlamentari sono solo fiduciari e “yesman” dei leader, allora a cosa serve il loro voto? Il confronto tra le opinioni di tanti ha senso solo se ognuno rappresenta qualcosa. Vedo una serie di piccoli spostamenti come questo, spesso inavvertiti, che fanno massa e contribuiscono a far ammalare la democrazia».

Può citarne qualcun’altro?

«La condizione e la qualità dei media è un altro sintomo della fatica della democrazia italiana. Quando si parla di pluralismo la gente sbuffa, come se non fosse importante. Ecco i rischi della crisi: fa passare naturalmente in secondo piano temi essenziali della democrazia perché ci sono bisogni più impellenti».


Una diversa legge elettorale potrebbe essere una buona cura per la democrazia italiana?

«È necessario ripristinare un meccanismo di selezione che consenta ai cittadini di scegliere i parlamentari, con le preferenze o con le primarie, altrimenti passa l’idea di Berlusconi del Parlamento come una massa senza valore. Anche il Pd ha le sue responsabilità: avere sostanzialmente accettato il meccanismo di nomina dei parlamentari. Questo fenomeno, insieme alla corruzione, ha fatto raggiungere alla classe politica un livello di discredito allarmante per la tenuta della democrazia. È un sentimento così diffuso che non può essere liquidato come qualunquismo».

fonte: da "l'Unità" del 12 marzo 2009