Rassegna Stampa

LA POLITICA TENDE A RENDERE UNA CORSA A OSTACOLI
LE CURE PER GLI IMMIGRATI...
MA IL MEDICO NON LO PUÒ FARE
Quando una persona è ammalata si annullano tutte le differenze. Il medico è semplicemente un medico, deve seguire ciò che la coscienza e il giuramento d’Ippocrate gli impongono.

Non c’è fondo alla vergogna. Ogni volta che in Parlamento vengono proposti emendamenti al "pacchetto sicurezza" si pensa che più in basso di così non si possa andare. Passa qualche settimana, e si viene puntualmente smentiti. Ecco le ultime proposte vergognose: blocco dei flussi d’ingresso per due anni; pagamento delle prestazioni sanitarie pubbliche (compreso l’accesso al pronto soccorso) per gli immigrati irregolari; richiesta ai medici di segnalare gli irregolari; dieci anni di residenza in Italia per accedere alle case popolari; stop ai ricongiungimenti familiari.
La discriminazione, ormai, è all’ordine del giorno e nulla sembra più fermarla. La Costituzione (che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini) e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo (che celebra l’uguaglianza di tutti gli esseri umani) sono documenti senza alcun significato per quei politici colmi d’odio e di paura, che ogni giorno siedono con la pancia piena sui seggi del Parlamento italiano. Ormai è diventato inutile anche spiegare l’assurdità di proposte sempre più offensive per il genere umano e sempre più adatte a un vero e proprio regime autoritario.
Ormai è giunto il momento della nonviolenza attiva e della disobbedienza civile. Io, in qualità di medico, disobbedirò al provvedimento che mi dà la possibilità di segnalare i migranti irregolari che avranno bisogno delle mie cure. In qualità di medico rivendico la mia fedeltà al giuramento di Ippocrate che, tra l’altro, recita: «Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di attenermi nella mia attività ai princìpi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato».
Infine, essendo, oltre che medico, un umanista, mi impegno a lottare, con tutti i mezzi non violenti a disposizione, affinché venga cancellato questo vergognoso "pacchetto sicurezza" e tutti gli emendamenti dall’inconfondibile sapore razzista ad esso collegati.

Carlo

La tua lettera indignata mena fendenti sulle politiche del Governo riguardo alla tutela della salute degli immigrati. Sono, infatti, passate in Parlamento restrizioni sostanziali rispetto alle disposizioni di legge che avevano fatto dell’offerta di servizi sanitari agli immigrati un punto di forza della sanità pubblica.
I punti qualificanti della nuova politica sono ben descritti dal nostro furente Carlo: in sintesi, si può dire che si tende a rendere l’accesso ai servizi sanitari una corsa a ostacoli per gli immigrati. Sempre più numerosi saranno quelli che non potranno (per motivi economici) o non vorranno (per timore di essere denunciati alle autorità di polizia) bussare alla porta di ospedali o di ambulatori. Con le conseguenze che si possono immaginare riguardo ai livelli di salute.
Merita una sottolineatura il motivo dell’indignazione che tu ci esprimi. Non è di natura politica: il tuo dissenso non va semplicemente collocato a sinistra, rispetto a un Governo di destra. Tu parli da medico e prendi la parola in nome dei valori ideali ai quali la tua professione si ispira. La politica può sentirsi autorizzata a distinguere tra cittadini e non cittadini, residenti e clandestini, amici e nemici. La medicina non lo può fare. È una delle grandezze di questa professione. Quando una persona è malata, si annullano tutte le differenze, anche quelle che legittimamente consideriamo tra gli esseri umani. Un medico che, sul campo di battaglia, cura con uguale dedizione il suo connazionale come il nemico, non è un eroe: è "semplicemente" un medico. Un eroe lo diventerebbe, invece, se fosse costretto a infrangere, a proprio danno, le leggi esistenti, per seguire ciò che la coscienza gli impone.
Non solo la coscienza morale, ma anche le regole deontologiche, cioè quelle norme che i medici si sono imposti per decisione autonoma e che descrivono i rapporti che ogni persona malata può aspettarsi di instaurare con loro. Il giuramento di Ippocrate – nelle sue diverse versioni storiche, compresa quella aggiornata che tu citi – è il simbolo di questa rete di doveri ai quali i medici si sentono vincolati. Il cardine è quello di orientarsi al bene del paziente, superando ogni discriminazione: da quelle che nascono dalle diverse possibilità economiche a quelle per meriti e demeriti sociali, per comportamento virtuoso e delittuoso. Sarebbe una prospettiva davvero infelice se i medici, per comportarsi correttamente, dovessero mettersi contro le leggi. Questa è, invece, la brutta strada in cui l’Italia si è incamminata, e che abbiamo denunciato con forza la settimana scorsa.
Un’annotazione ancora. Tu non fai riferimento a ciò che ti detta la tua coscienza cristiana. Se ispiri al cristianesimo il tuo agire morale, hai una ragione in più per denunciare come impraticabile un comportamento professionale che ti portasse a discriminare alcune persone. Per il cristiano ogni uomo è fratello, ogni vita è sacra. Sarebbe un bel paradosso se, proprio quando i cattolici si mobilitano per proclamare la sacralità della vita, avallassero delle leggi che considerano alcune vite meno tutelabili di altre.
Se queste misure legislative passassero, possiamo immaginare un ideale appuntamento morale: i credenti che si radunano a pregare perché non sia lasciata spegnere nessuna vita umana, dovrebbero proclamare una giornata di lutto e di penitenza al primo caso di bambino di madre clandestina che muoia perché il nostro Servizio sanitario nazionale le ha reso impossibile l’assistenza.
don Antonio
fonte: "Famiglia Cristiana" n° 8/2009