tratto da La Stampa, 2.01.2009
Una brutale violazione dei diritti umani nella Striscia
di Francesco Semprini
«L’aggressività di Israele nei miei confronti dimostra la volontà dello Stato ebraico di impedire alla
comunità internazionale di sapere che cosa sta succedendo a Gaza». Il relatore speciale per i diritti
umani dell’Onu, Richard Falk, fermato e cacciato qualche settimana fa da Israele, nonostante le
credenziali del Palazzo di Vetro, dice: «Mi hanno impedito di denunciare la grave violazione dei
diritti umani nei territori occupati. E le conseguenze le paga la popolazione civile palestinese». Ma
Israele non si sta difendendo? «La risposta di Israele ai presunti attacchi di Hamas non è
giustificabile. Il rapporto tra le vittime israeliane e quelle palestinesi è assolutamente
sproporzionato. Da parte di Gerusalemme c’è stata un’aggressione che ha portato a una serie
sconvolgente di atrocità compiute con armi moderne contro una popolazione inerme, che già
sopporta da mesi un duro embargo». Perché, parlando degli attacchi, usa la parola
«presunti»? «Perché non si capisce quale sia il legame tra la Jihad e il movimento palestinese».
Vuol dire che ci sono infiltrazioni terroristiche che Hamas non controlla? «Hamas era
pronto a rinnovare il cessate il fuoco. Israele ha ignorato questa ipotesi e ha continuato l’opera di
taglieggiamento degli aiuti umanitari, provocando una risposta con i lanci di razzi. Sospetto che la
responsabilità di questi tiri non sia di Hamas ma di elementi fuori controllo della Jihad. Il problema
è capire che legame c’è tra la Jihad islamica e Hamas. Di fatto Israele ne ha approfittato per
condurre un attacco che rappresenta una violazione degli accordi di Ginevra, e il bilancio delle
vittime civili lo dimostra». Crede che ci sia un legame tra ciò che è successo a lei due
settimane fa e la guerra in atto? «Non penso che ci sia un legame diretto. Ma sicuramente il
fatto che mi sia stato impedito di entrare a Gaza e l’essere stato trattenuto all’aeroporto Ben
Gurion per venti ore e poi rispedito a casa fa parte di una strategia di Israele volta a impedire alla
comunità internazionale di conoscere cosa sta succedendo a Gaza». Che cosa è successo quel
pomeriggio di metà dicembre? «Arrivato alla dogana di Tel Aviv, un funzionario del ministero
degli Interni israeliano mi ha detto che la mia visita non era gradita, nonostante avessi un
mandato dell’Onu. Era una direttiva del ministro degli Esteri, sono stato portato in un ufficio dove
vengono radunate le persone da deportare. Ero con altri cinque uomini. La mattina seguente sono
stato imbarcato su un aereo per gli Stati Uniti». Lei ritiene che Israele stia nascondendo
qualcosa? «Vuole evitare che la comunità internazionale conosca le violazioni dei diritti umani e
teme le ripercussioni che queste rivelazioni potrebbero avere dal punto di vista mediatico». Qual
è la situazione a Gaza adesso? «Disperata. Il 46 per cento dei bambini soffre di polmonite
dovuta alle polveri dei bombardamenti e l’80 per cento della popolazione vive con meno di un
dollaro al giorno». Quello che le è successo era mirato? «Direi che mi hanno riservato un
trattamento speciale, probabilmente per il mio passato. Ma di fatto è la prima volta che hanno
adottato una misura di questo genere con un inviato in possesso di un mandato conferito
dall’Onu». Qual è l’obiettivo di Israele? «Demolire l’ambizione di Hamas di rappresentare il
popolo palestinese e impedire la lotta contro l’occupazione dei territori. In secondo luogo Israele
vuole indebolire le ambizioni dei movimenti integralisti a Gaza e in Cisgiordania. Di fatto è un
comportamento inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani e delle leggi internazionali». La
nuova Amministrazione americana potrà cambiare le cose? «Non sono ottimista.
L’orientamento in questo Paese, e soprattutto di Washington, è così incondizionatamente a favore
di Israele da rendere difficile anche per un governo più liberal come quello di Obama di mettere in
discussione la politica di Israele». Si sente di mandare un messaggio allo Stato ebraico?
«Vorrei che il governo israeliano riconoscesse che la sua politica a Gaza non ha nulla a che fare
con la sicurezza e che sarebbe giusto cambiare l’approccio sull’occupazione della Palestina. Trovare
una soluzione a un conflitto che per sei decenni ha visto Israele invadere e ha devastato la
popolazione palestinese. E’ questo il mito che infiamma i fondamentalismi e alimenta il
terrorismo». Proverà a tornare a Gaza? «Il problema non è se io torno a Gaza, ma è come
convincere Israele a cooperare».