Pensando

Barbiana alla bolognese
di Linda Chiaramonte

SAMMARTINI (BO) - È una piccola Barbiana emiliana, trent'anni dopo, la scuola paterna di Sammartini, piccola
frazione di campagna del comune di Crevalcore, a circa trenta chilometri da Bologna. Il prete illuminato che ha
portato l'insegnamento di Don Milani nella bassa pianura padana è Don Giovanni Nicolini, ex direttore della
Caritas di Bologna, che dall'esempio del piccolo borgo della diocesi di Firenze ha creato una scuola che si
ispira agli stessi principi educativi, un'evoluzione di quel modello negli anni '80, con condizioni sociali e di
accesso all'istruzione molto diverse. Tutto comincia alla fine degli anni '70 quando Don Nicolini dopo alcuni anni
trascorsi a Bologna, diventa cappellano della parrocchia di Sammartini. Pochi casolari sparsi, una chiesa e una
scuola itinerante, di casa in casa, da raggiungere in bicicletta. Francesca Bergamini è la prima allieva di questo
progetto nato da un gruppo di famiglie molto legate fra loro che dalla città ha seguito Don Nicolini fino in
campagna. Di questa piccola comunità fanno parte alcuni genitori insegnanti, che dopo aver vissuto la stagione
del '68 sentono la necessità di interrogarsi sulla scuola e la riforma in atto in quegli anni nella fascia dell'obbligo.
Dopo un paio d'anni nasce l'idea della scuola paterna, né pubblica né privata, unica in Italia, aconfessionale e
aperta a tutti, anche a persone in difficoltà, in cui il valore principale è quello di dare stimoli e passioni agli
studenti. «L'idea fin da allora fu quella di dare maggiore spazio alla libertà e a un concetto più vasto di cultura
nel tentativo di curare di più l'approfondimento e percorsi personalizzati per bambini più o meno dotati in un
sentiero di crescita proporzionato alle possibilità» racconta Don Nicolini «un'esperienza in cui non ci sono
gerarchie di capacità e meriti». Lo schema giuridico della scuola paterna prevede che gli allievi siano
regolarmente iscritti presso un istituto, al quale i genitori chiedono l'autorizzazione a provvedere e garantire
l'istruzione ai propri figli. È una legge del '26 a contemplare la possibilità da parte della famiglia di occuparsi
direttamente dell'apprendimento dei figli, con l'obbligo di certificarlo alla scuola con un esame alla fine di ogni
anno scolastico. Da qui la definizione di scuola paterna, una scuola fatta in casa e a misura di bambino, dove a
fare i docenti sono gli stessi genitori che oltre alle materie previste dai programmi ministeriali danno spazio ad
approfondimenti e percorsi didattici individuali in cui tutti possono sentirsi al passo, anche chi ha difficoltà di
apprendimento o proviene da un contesto sociale difficile. I banchi sono a casa o in parrocchia, ma la religione
non è materia di insegnamento, la scuola è aperta a tutte le fedi e anche ai non credenti, non è necessaria
un'adesione religiosa, si tratta di un progetto educativo trasversale. I compiti non esistono, al loro posto c'è «ci
ripenso». Ma torniamo al 1982 primo anno delle scuole medie fatte in casa nella piccola frazione di Sammartini,
Francesca e Luca sono i pionieri di questa esperienza, la mamma di lei, già professoressa nella scuola
pubblica, insegna lettere, la madre di Luca, scienze. A farsi carico delle altre materie ci sono altri genitori, in più
ci sono corsi monografici sulla Shoah e il giornalismo, educazione tecnica, corsi di lettura, taglio e cucito, telaio
e ceramica. L'anno successivo i nuovi iscritti sono 4 poi 6, nel frattempo la scuola inizia a richiamare alunni
anche dai paesi vicini e c'è chi arriva apposta da Bologna. Non è una scuola elitaria, e a dimostrarlo negli anni
'90 è la sua apertura a bambini stranieri provenienti da percorsi di adozione e affidamento, e a profughi
kosovari, oltre alla richiesta di inserimento sempre più frequente da parte dei servizi sociali di ragazzi con
disagio che la scuola «normale» non riesce a seguire e alla collaborazione avviata con un'associazione che si
occupa di bambini con handicap gravi. Un giorno alla settimana per le lezioni si va in trasferta a Bologna, nelle
case dei nonni, che tanto hanno da insegnare, niente che si possa trovare sui libri. Fra gli allievi delle scuole
medie a Sammartini anche Tommaso, figlio di Francesca, la prima ad aver iniziato questo percorso di scuola
alternativa e che su quell'esperienza ha scritto la tesi di laurea in pedagogia. Francesca ha vissuto l'esperienza
da allieva e da madre-docente, una scelta gratificante e al tempo stesso impegnativa che le ha comportato un
forte coinvolgimento personale decidendo di non delegare alla scuola la formazione del figlio, svolgendo un
ruolo attivo in prima persona. Quest'anno in tutte e tre le classi gli iscritti sono 25, in aumento rispetto agli scorsi
anni. È sempre Don Nicolini l'anima della scuola, che a Bologna ruota intorno alla parrocchia di Sant'Antonio da
Padova alla Dozza, quartiere periferico in zona fiera. È preside e insegnante di storia e geografia. I docenti
sono circa una ventina, oltre ai genitori degli alunni, impegnati in prima persona, anche professori universitari,
insegnanti in pensione e volontari che collaborano mettendo le loro professionalità al servizio dei ragazzi,
qualità indispensabile la passione per la loro materia e la capacità di trasmetterla. Fra loro anche Vincenzo
Balzani, professore di chimica all'Università di Bologna, specializzato in nanotecnologie, che coordina la
sezione di scienze. Un dirigente di Datalogic insegna matematica, un architetto della Provincia geometria, un
neonatologo il corpo umano. Le lezioni sono regolari tutte le mattine, il luogo, oltre alla sede della parrocchia e
le case degli insegnanti, può essere un'aula universitaria dove fare esperimenti scientifici, o a spasso per la
città per imparare educazione artistica. I risultati finora sono molto positivi «scompare il rischio di isolamento e
anonimato, i ragazzi arrivano bene alla guerra delle superiori» dice Don Nicolini. A confermarlo i gemelli
congolesi in affido ad Amelia Frascaroli, madre e docente con un passato nella Caritas bolognese, che appena
arrivati in Italia, dal 2001 al 2004 hanno frequentato le medie a Sammartini. «È stata un'esperienza
straordinaria, si sono sentiti accolti e sostenuti. Sono stati loro a incoraggiare il più piccolo di casa a frequentare
la scuola paterna a Bologna» racconta la Frascaroli. Ora la scuola a conduzione familiare in città è frequentata
fra gli altri anche da molti ragazzi stranieri e da alcuni con problemi relazionali e di dislessia, situazioni fragili a
cui la scuola tradizionale fa fatica a dare risposte. Un vera sfida una scuola così di questi tempi.

tratto da Il Manifesto – 3.1.09