Pensando

Milano, Basilica di Sant’Ambrogio - 5 dicembre 2008
Primi Vespri della solennità di Sant’Ambrogio - Discorso alla Città

LA CITTA’ RINNOVATA DAL DIALOGO


Carissimi,

nel nome di sant’Ambrogio, patrono della nostra Città e della nostra Diocesi, rivolgo a tutti e a ciascuno di voi il mio saluto sincero e affettuoso. Sull’esempio di Ambrogio - uomo, vescovo, santo, che scelse di rimanere in continuo dialogo con la “sua” Città -, vorrei riflettere con voi sul fondamentale tema del dialogo, vera e propria emergenza del nostro tempo, a Milano e non solo.

1. L’UOMO SAPIENTE E GIUSTO E’ L’UOMO DEL DIALOGO

Il dialogo non è uno tra i tanti atteggiamenti che l’uomo può assumere, ma è un tratto fondamentale, costitutivo, della sua umanità. Deve diventare un atteggiamento stabile, una virtù che l’uomo sapiente sa ricercare e coltivare, anche a prezzo di fatica. Così sant’Ambrogio scrive, commentando il versetto biblico “Lo stolto cambia come la luna”:«Il sapiente non è abbattuto dal timore, non è mutato dal potere, non è esaltato dalla prosperità, non è sommerso dalla sventura. Dove c’è la sapienza, c’è la virtù dell’animo, ci sono la costanza e la fermezza. Il sapiente, dunque, (…) rimane perfetto in Cristo, “fondato nella carità”, “radicato” nella fede…».Così, anche quest’anno, ci lasciamo guidare nelle nostre riflessioni dal paradigma ambrosiano dell’uomo sapiente, un uomo che in momenti a volte oscuri e critici resta immutabile nell’animo, non viene sballottato da ogni mutevole opinione, ma sa coltivare ideali forti, rimanendo radicato nella sua fede, nella sua carità e quindi nella sua apertura agli altri. Egli sa “distinguere”, capire il tempo, discernere ciò che è bene da ciò che è male, dare il vero peso alle realtà della vita, confrontarsi con gli altri.Intimamente collegata alla sapienza è la giustizia. Così Ambrogio scrive nella sua famosa opera “Sui doveri”: «Risulta dalla Scrittura divina, più antica dei filosofi, che la sapienza non può esistere senza la giustizia, perché dove si trova una si trova anche l’altra». La sapienza, proprio perché alleata della giustizia, si fa “regola” della vita sociale, costruisce per il cammino quotidiano dell’uomo sentieri giusti, sentieri di rispetto della dignità personale di ciascuno – chiunque esso sia -, di difesa dell’innocente e di tutela del più debole. Una sapienza e una giustizia così, rendono “saldo il cuore dell’uomo”, lo fanno capace di dialogo libero e franco, lo impegnano convinto e deciso nel dialogo: alla ricerca del vero e del giusto per tutti.

2. ALLA RICERCA DI UN DIALOGO POSSIBILE

Ripensando all’uomo sapiente e giusto descritto da Ambrogio, mi chiedo: “E’ ancora possibile un dialogo?”, anzi: “E’ ancora possibile il dialogo?”. E ancora: “Quanto oggi siamo disponibili a considerare il dialogo uno strumento importante per il nostro vivere personale e sociale?”. E’ possibile, oggi, dialogare a Milano?Queste stesse domande interrogano anche la nostra Città. Quando la incontro nei suoi quartieri, nelle sue parrocchie e associazioni, nelle sue espressioni di impegno sociale e civile, nei luoghi dell’educazione e della sofferenza, mi pare che si presenti come una grande città fatta da tante piccole isole, spesso non comunicanti tra di loro. Le periferie distanti dal centro, le istituzioni percepite come lontane dai cittadini, i giovani che rischiano di essere separati dagli adulti, i “nuovi venuti” non in piena comunicazione con chi è milanese da più tempo, chi ha un lavoro sicuro e ben remunerato disattento a chi è precario o disoccupato, chi ha una casa da abitare con la propria famiglia ignaro del grave disagio di chi non riesce ad ottenerla, chi è sano e a volte è insensibile rispetto a chi vive il dramma della malattia… E mi vien da concludere: quante fatiche subisce il dialogo nella nostra Milano! Il mistero della reciprocità e la virtù della comprensioneMa a quali condizioni il dialogo è possibile?Il dialogo autentico esige l’attenzione all’altro, la propensione ad ascoltarlo e perfino a comprenderlo, anche quando non se ne condividono le vedute. Non è semplice dialogare. Mette in gioco tutto di noi stessi: l’identità, la storia, la persona. La relazione nel dialogo non può essere generica: ha bisogno di un “tu”, ma anche di un “io”, di una persona che, non avendo paura dell’altro, si lascia coinvolgere in questa esperienza che rende unico e contraddistingue l’essere umano dal resto del creato. Il libro della Genesi, al suo inizio, mostra come Adamo diventi pienamente uomo quando può entrare in dialogo con Eva, suo simile, e con Dio, il Creatore: l’uomo è costitutivamente un essere-in-dialogo.Il dialogo ci immette nel mistero della reciprocità e della prossimità. Così ciascuno, dialogando, mostra il proprio volto più autentico. Ci è chiesto un cammino ascetico personale. L’uomo infatti a dialogare impara. Impara cioè a comprendere l’altro. E per comprendere realmente è richiesta una disponibilità iniziale che ci fa lasciare alle spalle ogni egoismo ed ogni individualismo. Romano Guardini individuava l’inizio di ogni comprensione – e dunque del dialogo – nel riconoscimento e nel rispetto della libertà dell’altro, e dunque della sua dignità di persona. L’altro – scriveva – è da guardarsi “con l’occhio della libertà, la quale dice anzitutto: Sii quello che sei; e solo dopo: Ed ora vorrei sapere come sei e perché”. Per iniziare il dialogo occorre riconoscere la libertà dell’altro, consentirgli di essere se stesso, non ridurlo ad essere come lo vorremmo, su nostra misura, a nostra immagine e somiglianza. L’altro è invece da scoprire sempre nella sua unicità e irripetibilità, ad immagine e somiglianza di Dio, come afferma la fede cristiana. Il dialogo esige anche tempo, quel tempo che è sempre più scarso, pressati come siamo da mille cose e mille impegni. Ma concederci più tempo ci aiuterebbe a metterci di fronte a noi stessi, a fare chiarezza, a scorgere le nostre debolezze e ad assumerci le nostre responsabilità!Solo a queste condizioni il dialogo diventa possibile. Ovviamente ciò che vale per i singoli, vale anche, se pure con modalità differenti, per le diverse componenti sociali, per le diverse generazioni, per le parti politiche, per i popoli, i laici e i credenti, le diverse razze, nelle istituzioni, dentro la Chiesa… La Città chiamata all’incontro delle genti e delle cultureIl riferimento stasera diventa la nostra Città: anch’essa è chiamata con urgenza al dialogo, perchè ne ha un profondo bisogno, forse mai come oggi. Solo in un clima di dialogo autentico potremo rinnovare la Città e iniziare così la costruzione della Milano del futuro. É una Città, la nostra, da sempre chiamata all’incontro delle genti, delle culture, delle città: in questo si giocherà la sua identità e metterà in evidenza la sua anima. Conosciamo l’obiezione: dialogando, la nostra Città non corre il rischio di divenire un luogo senza identità precisa? No, personalmente sono convinto che il dialogo rafforza l’identità, la arricchisce, la rinnova, la proietta verso il futuro. La paura di indebolire o di perdere, nel dialogo, la nostra identità non è forse segno di un’identità già indebolita, se non addirittura estenuata? Siamo stati disposti ad un percorso debole nella storia occidentale, perché abbiamo ritenuto che questo ci permettesse di vivere meglio, più comodamente, senza problemi di confronto, consentendoci individualismo e separazione.Adesso però la sfida, anzitutto culturale, portata alle nostre città dai popoli e dalle genti che domandano cittadinanza ci provoca a questo inevitabile confronto. E’ venuto il tempo, ed è questo, di rinnovare la disponibilità all’incontro e al dialogo, per scoprire e ricordarci “chi” veramente siamo.Certo, ci vuole coraggio. Ma non mancano donne e uomini animati, anzi appassionati del dialogo autentico. Le voci già in dialogoIn questo senso ci sono note positive, e non poche, anche se si tratta di esperienze di incontro e di dialogo che non sempre hanno l’onore della cronaca, anche se queste esperienze hanno bisogno di ulteriore e più ampio sviluppo.Sto pensando, ad esempio, al dialogo con le persone più bisognose di relazione, come gli anziani; al rapporto con coloro che vengono da paesi lontani e all’impegno di tanti che, andando oltre la necessaria opera di assistenza, danno vita ad un approccio culturale nuovo: li considerano, cioè, non solo come individui o categoria, ma come persone, portatori di diritti e di doveri; in particolare, li considerano in possesso di un loro quadro di valori, di una visione del mondo, di uno stile di vita, in una parola di una “cultura”. In tal senso dialogare con gli immigrati significa entrare in contatto con la loro cultura, conoscerla, apprezzarla, valorizzarla perché essi, a loro volta, conoscano, apprezzino e valorizzino la nostra cultura. Così ci si augura di crescere insieme e di andare verso una nuova sintesi culturale che caratterizzerà la Milano di domani. Una sola Milano: dei milanesi da generazioni e dei “nuovi” milanesi. Sto pensando ancora ai passi compiuti e da compiersi nel dialogo tra le religioni, a cominciare dalla felice esperienza del Consiglio delle Chiese Cristiane, nato nella nostra città dieci anni fa e che è cresciuto fino ad abbracciare oggi 18 confessioni cristiane. Sto pensando, infine, ai fedeli dell’Islam. Spesso sentiamo dire che: “l’Islam disprezza le altre religioni ed i loro credenti, non ha il senso dello Stato tipico della tradizione occidentale, non accetta il principio della laicità, è fanatico, strumentalizza la fede per finalità distorte o criminose, non usa la ragione come mezzo nel confronto e nella discussione con i popoli, schiavizza le donne…”. Sì, ma intanto il dialogo, anzitutto culturale, va incominciato. Singoli gesti e atteggiamenti, per quanto gravi e da deprecare con forza, non siano occasione per guardare con sospetto ed accusare tutti gli appartenenti ad una religione. Si obietta che per un vero dialogo occorre una disponibilità reciproca. Ma è pur necessario che almeno uno inizi, cerchi l’incontro, stabilisca una relazione. Il tutto con pazienza, fiducia, onestà intellettuale, rispetto della libertà dell’altro, capacità di ascolto, e lasciando che il tempo faccia crescere quanto di buono è stato seminato.

3. DALLA CONTRAPPOSIZIONE ALL’INCONTRO

Sempre guardando alla nostra Città spesso noto una forte sensazione di contrapposizione. Il clima che si respira è quello dello scontro, non dell’incontro, non della ricerca di un dialogo libero e attento. Ascoltare e comprendereSembra smarrita la capacità di ascoltare e di comprendere. A prevalere è un clima scandalistico che promuove disistima e disprezzo: chi vive con sobrietà, viene irriso e additato come avaro; se un professionista commette un reato, quell’intera categoria di professionisti verrà considerata ugualmente colpevole; se un dipendente pubblico è fannullone, tutti i dipendenti pubblici lo saranno. Un politico è disonesto? Tutti i politici quindi sono disonesti. Sembra quasi che le singole persone, con le rispettive responsabilità, non esistano più. Questo clima si è ormai insinuato in tutti i rapporti, anche in quelli più delicati, persino tra medici e pazienti, tra insegnanti e studenti, tra amministratori e cittadini, tra sacerdoti e fedeli… Ma, senza fiducia, dentro la contrapposizione generalizzata e totale, in questa litigiosità, tutti ci scopriamo più soli, incapaci di incontro e di dialogo. Ma a chi giova questa contrapposizione permanente? A nessuno!Non dobbiamo per forza avere tutti le medesime opinioni. Il frutto maturo del dialogo non è necessariamente la coincidenza delle idee. Il buon dialogo non è infatti mettersi l’uno di fronte all’altro e misurarsi per vedere chi ha ragione e chi ha torto; è piuttosto un mettersi l’uno accanto all’altro, dichiarandosi reciprocamente la volontà di guardare avanti, l’impegno di fare ciascuno la propria parte per il bene comune, la disponibilità anche a modificare il proprio punto di vista. Il dialogo domanda la coerenza del cammino fatto insieme, più che la stabilità della propria posizione. Una Chiesa che si offre al dialogoIl dialogo è esercizio che riguarda e impegna anche la nostra Chiesa ambrosiana, chiamata a donare la verità che salva: una verità che coincide con l’amore stesso di Dio e con la sua vita, una verità da comunicare con fedeltà limpida e forte, coraggiosa e gioiosa, ma che insieme – proprio per essere attenta alle diverse condizioni concrete delle persone – deve saper proporre con bontà e mitezza. Dunque, una verità annunciata e testimoniata in dialogo.Ricordo qui la prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam Suam, tutta incentrata sul tema del dialogo. In particolare, circa l’annuncio della verità, leggiamo: «Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza…. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. (…) Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l'esempio e il precetto che Cristo ci lasciò».Come si vede, il dialogo per la Chiesa non è un semplice scambio di opinioni umane, perché nasce e muove dalla verità evangelica che il Signore Gesù le ha affidato perché sia annunciata con amore a tutti. Radicata in Cristo, sua pietra angolare, la Chiesa non teme di aprirsi al dialogo con tutti gli uomini e le donne: per essa il dialogo è grazia e responsabilità.Così, per il mio ministero di Vescovo e a nome della Chiesa ambrosiana, stasera rinnovo alla Città, a tutti - Istituzioni e cittadini – l’impegno a rendere concreto questo volto di Chiesa.Dialoghiamo, serviamo insieme questa Città, per il bene di tutti e di ciascuno. Certo, ognuno per la sua parte, con le sue competenze, nei suoi ambiti. Ma tutti insieme con lo stesso grande desiderio: dialogare per servire sempre meglio questa Città e chi la abita. Laddove l’invocazione è urgenteInsieme vogliamo udire e riconoscere le voci della Città, le voci di coloro che, forse in modo sommesso ma sofferto, invocano il dialogo. Domandano dialogo anzitutto i giovani. Non credo ai luoghi comuni sui giovani di oggi. Nessuno di noi assolve bullismo, sfrenatezza di vita, alcoolismo, assunzione di droghe. Ma il nostro atto di fiducia, il nostro desiderio di dialogo con le giovani generazioni non può essere offuscato da una condanna aprioristica di tutti i giovani. Tanti di loro studiano, lavorano, si dedicano agli altri, si preparano con serietà al futuro, si divertono in modo sano: e tra loro tanti giovani immigrati. Ascoltiamoli con speranza e fiducia, dialoghiamo con loro. Guardiamo a loro con gioia.Una parola vorrei riservare poi alla politica e alle Istituzioni, in particolar modo a proposito della frattura che si è aperta con i cittadini. L’impressione è che questi ultimi non comprendano più i politici e le Istituzioni che dovrebbero rappresentarli, così come i politici sembrano non comprendere più i cittadini che dovrebbero rappresentare.I politici sono definiti spesso una casta. Certo, non sono ammissibili né i privilegi eccessivi, né le disonestà. Tuttavia non si deve generalizzare: ci sono politici così e politici perbene, che lavorano con onestà e serietà. Impariamo a distinguere: non è questione di schieramenti, in causa sono chiamate le responsabilità personali.La politica merita attenzione e fiducia. Ma richiede partecipazione. Essa ha oggi bisogno di “un di più” di presenza. Se è compito della classe politica riavvicinare i cittadini, è compito anche dei cittadini non abbandonare il campo, riaprire una linea di credito alla politica, tornare al dialogo. É difficile, ma necessario. Questo ritrovato dialogo riaprirà anche un rapporto di maggior fiducia nelle e per le Istituzioni. La Città non esiste senza le sue Istituzioni. Il Paese intero non esisterebbe, non avrebbe identità e volto senza le sue Istituzioni. Ce lo hanno insegnato i padri costituenti.

4. IL DIALOGO COSTRUISCE E RENDE FORTE LA CITTÀ

Sono convinto che solo il dialogo costruisce e rende forte la Città, perché la sua convivenza sociale e civile poggia sulla relazione. E la trama di rapporti che animano la Città non può essere solo di tipo mercantile, ma deve diventare un evento in cui ogni interlocutore si mette in gioco con fiducia, si apre all’altro, lo ascolta, gli risponde senza pregiudizi, senza desiderio di asservirlo.É dalla qualità del dialogo che dipende il vero volto della Città, il suo essere aperta, accogliente, attenta ai suoi cittadini: ai piccoli, agli anziani, ai malati. Proprio da questa capacità di dialogo è scaturita la storia di questa nostra splendida Città: un dialogo favorito anche dalla posizione geografica, all’incrocio di tanti ed importanti vie di comunicazione. Questa storia siamo chiamati a custodirla e a continuarla. Così la Città sarà continuamente “nuova” nel senso bello ed alto del termine.
L’Expo 2015: un’occasione di dialogo e di incontro In questo senso l’appuntamento dell’Expo 2015 rappresenta una vera e propria opportunità di dialogo per la Città: al suo interno, con il territorio circostante, con la Regione, l’intero Paese, l’Europa, il mondo. Non possiamo sciupare questa opportunità con discussioni di affari, legittimi ma pur sempre limitati, in questioni solo economiche. Altra è la ricchezza più vera che dovremmo attenderci dall’Expo. Prendo spunto, ancora una volta, da sant’Ambrogio:«Vuoi costruire una città come si conviene? É meglio il poco col timor di Dio che grandi tesori senza di esso. Le ricchezze dell’uomo devono giovare al riscatto della sua anima, non alla sua rovina. E il tesoro serve al riscatto, se uno ne fa buon uso…».Ambrogio ci parla di una città molto particolare, l’anima dell’uomo, ma la sua metafora prende spunto dalla città reale. Ora, riflettere seriamente su queste parole in vista dell’Expo non è affatto fuori luogo. Ci invitano a far sì che le ricchezze, le grandi quantità di denaro che verranno messe in gioco, non siano di rovina alla nostra Città ma strumento per realizzare qualcosa di ben più grande del profitto. In realtà, l’appuntamento del 2015 è momento favorevole per ripensare, progettare, discutere e realizzare il futuro di Milano e del territorio. E’ occasione per riflettere sulla Città, sul senso dell’abitare, sulla famiglia e sulle opportunità che possiamo offrirle, sull’idea di scuola, di arte, di architettura. É occasione per incontrare quanti abitano la Città, conoscerli e conoscersi, capirsi e apprezzarsi nella diversità di cultura, fede, etnia, usi e lavoro.É occasione per riannodare legami, per creare opportunità di lavoro, di conoscenza, di apertura al mondo, di costruzione di un futuro solido. Lo stesso tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita” si offre a veste e importanti riflessioni e iniziative concrete, che peraltro so essere già in parte avviate, ad opera di Istituzioni e di Organizzazioni di volontariato, in alcuni Paesi del mondo, dove l’emergenza alimentare è più forte e ha conseguenze drammatiche. In questo senso l’Expo è già cominciata: e questo inizio è un segno che fa ben sperare per la crescita culturale e operativa in una solidarietà sempre più ampia. Così come è certamente da apprezzare il fatto che l’Expo non voglia identificarsi con una grande costruzione simbolica ma con la creazione di una “rete mondiale di cooperazione e solidarietà” per sradicare la fame e la povertà nel pianeta.E ancora l’Expo è occasione per mostrare un volto che è manifestazione dell’anima e del cuore della Città. E il volto che Milano offrirà in questa esperienza sarà l’espressione del volto dei suoi protagonisti, dei soggetti coinvolti. Tutte le espressioni della Città, allora, ne siano parte: la cultura e l’arte, la ricerca scientifica e tecnologica, l’imprenditoria e il mondo del lavoro, la medicina e i servizi alla salute, l’associazionismo e il volontariato, la scuola e le realtà educative, la Chiesa. Sì, anche la Chiesa ambrosiana. E con essa tutte le Chiese e le religioni presenti a Milano. Dialoghiamo, per realizzare al meglio l’Expo 2015, per una Milano che sia non solo meta d’arrivo di genti e di popoli della terra, ma anche punto di partenza di idee e di risorse per una solidarietà verso i Paesi più poveri del mondo. In particolare, tutti insieme e ciascuno nella propria realtà, dialoghiamo - con franchezza - per il vero bene della nostra Città e di chi la abita. Con l’aiuto soave e forte di sant’Ambrogio.

+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano