Rassegna Stampa

tratto da L'Arena, del 25.10.2008

SERGE LATOUCHE
«La decrescita? Può aiutarci a essere felici»

Benedetta sia la recessione. Ben venga l’economia che va con la marcia indietro. Così, almeno, la pensa Serge Latouche, francese, 68 anni il prossimo gennaio, filosofo e professore emerito di economia all’Università di Parigi, uno dei «padri» del movimento della «decrescita conviviale» e del localismo. Contestatore del consumismo, Latouche - in Italia per un ciclo di conferenze, tutte molto affollate - impronta il suo pensiero sulla critica al concetto tradizionale di sviluppo: quello che si regge sul debito, sulla produzione, sul consumo e che ha come effetti collaterali lo stress, l’infelicità, i conflitti (fra persone e fra stati) e la distruzione ambientale.
Professor Latouche, dovremmo forse gioire per la recessione economica?
Di crescita non ce n’è proprio più. Ed è meglio così: non si può e non si deve puntare su altra crescita economica. È caso mai il momento di approfittare della crisi per una cura disintossicante per l’ambiente e per la nostra vita. Magari per imparare a fare a meno dell’auto, ad esempio.
Come spieghiamo ai più poveri che senza c rescita si esce dall’indigenza?
È una truffa quella di chi dice che vanno salvate le banche per aiutare i poveri. Le assicuro che non sanno neppure cosa sia e come si pronunci la parola «crescita». Possiamo stare tranquilli: e non si preoccuperanno della crisi, perché sono già nell’indigenza. Quanto ai meno ricchi dei Paesi occidentali, la povertà si può eliminare solo redistribuendo la ricchezza che c’è già. Negli anni Cinquanta, i nostri padri e madri potevano scegliere fra 3-4 mila prodotti. Adesso ne abbiamo oltre 60 mila. Sono tutti necessari? Siamo caduti tutti, sinistra compresa, nella trappola della crescita: un sistema che distrugge la natura, distrugge il mondo. Le risorse non sono illimitate: fra qualche anno il petrolio potrebbe costare 300 o 400 dollari il barile. A quei livelli non sarà più possibile neppure far volare gli aerei.
Minor sviluppo economico vuol dire avere una torta più piccola da spartire. Non è così?
Ingrassare la torta significa annientare il sistema ambientale. Ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno. Che lo vogliamo o no, siamo costretti a scegliere un’altra strada, a cambiare vita. Siamo oltretutto in un sistema che crea malessere e aumenta i poveri, anziché diminuirli. Siamo drogati dai consumi: come tutti i tossicodipendenti sappia mo che se non ci curiamo moriamo, ma non siamo in grado di curarci.
La crisi economica ci aiuterà a uscire dal tunnel della droga dei consumi inutili?
La crisi ci incita a intraprendere una cura. Non dico che è facile cambiare sistema economico, modo di vivere. Ma è auspicabile. Oggi siamo dipendenti dal cellulare, dall’auto, dalla tv che vive di pubblicità e stimola a consumare prodotti inutili. Non ci rendiamo conto che più aumenta il tasso di crescita della produzione e più sale la nostra infelicità. A poco servono i progressi della medicina, se poi ci ammaliamo di più. Allora io dico: fermiamoci a un certo livello e vediamo di vivere meglio.
In questo quadro che ruolo gioca un fenomeno immenso come l’immigrazione?
L’emigrazione di massa è frutto della corsa alla crescita. Il nostro sistema economico ha distrutto il tessuto civile di interi continenti. Da quei Paesi i più giovani emigrano, attratti dai miraggi della televisione. Arrivano nelle nostre città, diventano uno strumento della concorrenza e della crescita. Ed è così che si scatenano le guerre tra i poveri; che si generano i conflitti. È il miraggio dello sviluppo infinito che fa nascere i ghetti; e ostacola la convivenza fra persone di differente cultura.