Pensando

Storie di Volti

“Io sono le persone che ho incontrato”. Chiedo scusa a Martin Buber – filosofo e teologo contemporaneo - se prendo in prestito queste sue parole, ma la lettura de: “Fogli di via” – libro recentemente pubblicato ed oggetto di presentazione in questa serata a Sezano – ha riportato la mia memoria proprio a questa sua affermazione, credo molto adeguata al contesto.
Vice questore aggiunto ed ex dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Verona, con il vizio della scrittura, Giampaolo Trevisi è un uomo che ha osato sino in fondo, a costo di rimettere in gioco le proprie scelte, la propria carriera e la propria vita; che si offre come provocazione gratuita e tentativo di sensibilizzare le coscienze circa la reale possibilità di una “coesistenza civile” tra l’io e l’altro?
Ha imparato a mettersi in ascolto della vita, anche quando questa è grigia o, addirittura, nera; una persona semplice che ha accettato i propri limiti e, con essi, ha cercato di avvicinarsi all’altro, cercando, a volte, di uscire anche dal proprio ruolo. Così facendo, da queste “storie di volti” – titolo della serata –, emerge il vissuto di chi ha il coraggio di uscire da dietro la propria scrivania chiusa in un caotico ed affollato ufficio, e mettersi in ascolto degli ultimi, dei dimenticati, di coloro che sono considerati appunto gli ultimi e non gli altri, gli emarginati, gli immigrati, gli stranieri in una società dove l’io, il mio interesse e bisogno, vengono prima di ogni cosa.
Sfogliando il libro, è possibile scoprire una persona che non ha timore di esprimere ciò che prova nel profondo delle viscere quando, al ritorno da una retata, si sente impotente per non aver potuto “fare altrimenti” che non “far rispettare la legge”! Si intuisce il desiderio di un uomo che ha scelto di agire, senza tante parole, con gesti concreti, con la speranza di costruire una Umanità che cerca il volto del fratello, di costruire un dialogo ed incontrare una cultura diversa grazie, anche, alla quale crescere.
Traspare, allora, la sensibilità di chi ha abbandonato nella propria borsa il portatile, l’i-pod, il caricabatterie del cellulare, le scarpe di ricambio e quant’atro per provare ad uscire dalla propria divisa, grazie alla quale, magari, si sentiva “fermo, saldo, sicuro e tutelato”. Ecco che si affaccia al mondo un nuovo volto: quello di un uomo che si riconosce come tale, senza privilegi, e disponibile ad entrare in relazione con l’altro, quell’altro che grida al mondo la propria esistenza, il proprio diritto ad essere ascoltato ed amato!
Allora sembra quasi sia davvero possibile reagire alla mentalità dell’ego-centrismo che oggi dilaga tra i giovani, nelle scuole, nelle città e serpeggia nella “cosa di tutti”: la politica. Diventa naturale, quindi, domandarsi se sia legittimo e realista impegnarsi per cambiare questa società nella quale tutto sembra andare in direzione opposta al favorire le relazioni costruttive tra gli uomini, a partire proprio dalle Istituzioni e dalla Legge. Come e dove è o sarà possibile costruire il “buon luogo”?
Credo che la risposta sia proprio sotto gli occhi di ciascuno di noi, se provassimo, anche solo per un istante, ad aprire gli occhi del cuore, e ci lasciassimo colpire, ad esempio, da ciò che accade in una piccola piazza di un quartiere di Verona – ribattezzata “Piazza dei Popoli” - dove “bimbi neri addirittura giocano insieme con bimbi bianchi”, dove in una via di Veronetta “puoi davvero incontrare tutto il mondo”, quando su un autobus puoi perfino imparare una lingua nuova chiacchierando con chi siede accanto a te… La risposta si dischiude nella capacità che ciascuno di noi ha di uscire dal proprio “io” per aprirsi all’altro, lasciando a lui lo spazio necessario affinché si possa sentire non tollerato bensì a casa propria, cittadino del mondo e non più clandestino! Così, infine, sarà forse possibile rendere viva questa “umanità che non è l’insieme degli uomini, ma che sono gli uomini che vivono insieme” [R. Petrella].

Andrea Protti – Sezano, 17 Ottobre 2008