tratto da Il manifesto, 21.08.2008
Il pasticcio dell'acqua pubblica
di Riccardo Petrella e Rosario Lembo
L'articolo 23 bis del nuovo Decreto legge numero 112 non ha chiuso il dibattito relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, in particolare per quanto riguarda l'acqua.
Il decreto sancisce al comma 1 dell'articolo 23 bis che i servizi idrici fanno parte dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cioè dei servizi la cui gestione deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalista di mercato. Il governo Berlusconi ha così confermato che l'Italia fa parte oramai dei paesi che considerano l'acqua non come un bene comune, un bene sociale, ma come un bene economico, un bene-merce.
Sull'Osservatore romano del 16 luglio, il Papa Benedetto XVI ha scritto: «Riguardo al diritto all'acqua, si deve sottilineare anche che si tratta di un diritto che ha il proprio fondamento nella dignità umana; da questa prospettiva bisogna esaminare attentamente gli atteggiamenti di coloro che considerano e trattano l'acqua unicamente come un bene economico». Come sarà accolto l'articolo 23 bis dal mondo dei cattolici?
La scelta in favore della mercificazione dell'acqua è confermata dal comma 2, ma viene sistematicamente derogata dai successivi commi tanto che ne esce un quadro legislativo assai confuso, pasticcioso e impasticciato. Non per nulla, l'articolo 23 bis è stato già oggetto di forti critiche anche da parte di Federutility, della Confservizi e dell'Anci, organizzazioni che non sono certo note per essere anti-privatizzazione.
Il comma 2 stabilisce che «il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori e di società in qualunque forma costituite, individuate mediante procedure competitive di evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea». Il comma 3, però, prevede che «l'affidamento può avvenire... in deroga alle modalità del comma 2... nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria».
In realtà, la «disciplina comunitaria» si fonda su parecchie fonti (Trattato del 1985 che istituisce la Comunità europea, Trattato di Maastricht del 1992, Trattato di Amsterdam del 1997, Trattato di Nizza del 2003, giurisdizione della Corte di giustizia europea) e consente una grande varietà di regimi di gestione dei servizi idrici: dal regime inglese, che comporta la privatizzazione anche delle reti e delle infrastrutture, al regime olandese che vieta di affidare a soggetti privati la gestione della distribuzione dell'acqua potabile o al regime tedesco ancora oggi basato su più di 4 mila imprese municipali pubbliche e di consorzi intercomunali. Peraltro, la sentenza del 17 luglio 2008, C-371/05 della Corte di giustizia europea, rende la confusione ancor più grande. Finora, per poter essere aggiudicataria di una gestione in house l'impresa doveva rispondere a due requisiti fondamentali - il controllo analogo e il rapporto strumentale - e, in più, escludere la presenza di soci privati nel capitale sociale. Secondo la nuova sentenza, la presenza di capitali privati è considerata ostativa dell'affidamento diretto solo se tale partecipazione sussiste al momento della stipula della convenzione di affidamento. Questo significa che lo statuto societario di una SpA candidata anche a diventare in house non deve necessariamente escludere la partecipazione di privati nel capitale societario. Quel che è determinante è che il capitale privato non sia effettivamente presente al momento dell'affidamento. Dopo, l'apertura è possibile. Ciò decretando, la Corte europea afferma il contrario di quanto aveva sostenuto finora.
A migliore chiarezza non contribuisce il comma 4 che sottomette la gestione in house alla condizione di «dare adeguata pubblicità alla scelta motivandola in base a un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere...da rendere entro 60 giorni dalla ricezione della predetta relazione». Come si fa a sottomettere alla «verifica» di un'analisi di mercato prospettiva (per definizione, estremamente fragile e soggettiva) la pertinenza di una scelta politico-economica operata dai comuni sulla base del principio costituzionale della libertà di scelta gestionale di cui essi dispongono? E come faranno le Autorità cui è devoluto l'onere di emettere un parere (vincolante, sospensivo...?) a valutare e giudicare, entro 60 giorni, la congruenza economica, oltreché giuridica, della scelta fatta alla luce di un quadro legislativo cosi confuso e contraddittorio?
Confermando il ruolo preminente di controllo su tutti i servizi «pubblici» locali attribuito all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il decreto legge sacralizza il mercato e la concorrenza come principi fondatori e legittimanti del governo dei servizi «locali» che sono invece res publica, cioè di fondamentale importanza per la sicurezza e il benessere di tutti i cittadini e per il vivere insieme. In tale contesto, a cosa serve il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, il Co.vi.ri? Per fare, anch'esso, rispettare le regole della concorrenza in aggiunta all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e all'Autorità per la vigilanza per i contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture?
Inoltre, il decreto modifica la natura stessa dello stato e delle collettività territoriali. I comuni, in particolare, non sono più dei soggetti pubblici territoriali responsabili di beni comuni, ma diventano dei soggetti proprietari di beni competitivi in una logica di interessi privati, per cui il loro primo dovere è di garantire che i dividenti dell'impresa di cui sono azionisti siano i più elevati nell'interesse delle finanze comunali.
Con l'applicazione dell'articolo 23 bis, vi sarà una grande confusione di ruoli, di competenze, di azioni, di controlli, di regolamenti e, soprattutto, di affarismi. L'articolo 23 bis è nocivo perché non permetterà un governo efficiente, giusto e saggio del servizio idrico integrato. Esso è da sostituire il più presto possible con una legge quadro fondata sulla non mercificazione dell'acqua (della vita) e sulla pubblicità dei servizi idrici in quanto servizi di interesse generale non riducibili a rilevanza economica.
* Associazione «AcquaPubblica»