Pensando

Tratto da “Confronti”, aprile 2008

Speciale elezioni. La laicità insidiata.
di Luigi Sandri

Le elezioni politiche del 13-14 aprile ripropongono tutta una serie di nodi che l’Italia deve affrontare per superare i tanti mali che l’affliggono, e sprigionare le sue molte potenzialità. Tra essi, permane il problema della laicità dello Stato, sempre insidiata dalle oggettive interferenze e pretese delle gerarchie cattoliche.

L’Italia è fortunata, perché oltre al parlamento scelto dal popolo, e al governo, sul paese vigila anche il cardinale segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone. Lo stesso porporato, infatti, in partenza per Roma da Baku (dopo una visita in Armenia e in Azerbaigian), il 9 marzo ha dichiarato: «Ritornando in Italia mi tufferò di nuovo anche nei problemi italiani, e vedrò se i cattolici stanno emergendo a sinistra, al centro, a destra. E se i valori cristiani sono realmente supportati da un vero impegno: sia da un impegno dei cattolici presenti nei vari schieramenti, sia dal rispetto promesso dai leader di quegli schieramenti».

Dunque, non da fantasiose ipotesi dei giornali, ma dal diretto interessato, apprendiamo così che, in vista delle elezioni politiche del 13-14 aprile, i leader dei partiti politici – con le eccezioni, sappiamo, di Boselli e di Bertinotti e di altri «minori» – hanno preso impegni non solo con il popolo italiano, o con i loro tradizionali o sperati sostenitori, ma anche con il Vaticano. I partiti politici italiani (quelli, almeno, che si candidano a governare il paese, come il Pdl e il Pd; e quelli, come l’Udc, che sperano di condizionare il vincitore) sono dunque, per loro libera scelta, «in libertà vigilata». Quando dovranno legiferare sugli impegni per tradurre in leggi dello Stato i «valori cristiani», accettano umilmente che sarà Bertone, per conto di papa Ratzinger, a dare l’imprimatur. Che abbia scelto questa «obbedienza» il patron di Arcore, o quello del partito «cristiano» non meraviglia, perché essi poco sanno sulla laicità dello Stato, e perché strumentalizzare la religione (cattolica) fa parte ineliminabile del loro Dna; si rimane invece sconcertati all’ipotesi che anche la leadership del Pd abbia preso un tale «impegno».

Per chi poi non avesse ancora capito di quali «impegni», su quali «valori cristiani», si tratti, lo ha ribadito il 10 marzo il cardinale Angelo Bagnasco, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (Cei), di cui è presidente. Citando le parole di Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona del 2006, il porporato ricordava che ai cattolici «come cittadini, sotto la propria responsabilità», spetta «un compito della più grande importanza», in rapporto «alle grandi sfide nelle quali porzioni della famiglia umana sono maggiormente in pericolo: le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune epidemie terribili». Ma, aggiungeva il papa, «occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicono fondamentali valori e princìpi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale».
Insomma, sui «princìpi non negoziabili» i cattolici non possono trattare. E tuttavia. E tuttavia, quando (marzo 2003) iniziò l’attacco anglo-americano all’Iraq di Saddam Hussein – una guerra cominciata senza nessun mandato dell’Onu; illegale dal punto di vista del diritto internazionale; basata sull’accusa, falsa, che il rais di Baghdad possedesse armi di distruzione di massa – l’allora governo italiano di centrodestra, di cui era una colonna il partito «cristiano» legato a doppio filo con il Vaticano, la dirigenza della Cei non aprì una crociata per far cadere quel governo, né si sognò di smentire il partito «cristiano». Se, in astratto e in teoria, la pace è «principio non negoziabile», in concreto è arduo – così pensò la gerarchia ecclesiastica – valutare ogni aspetto di un conflitto, e occorre una saggia opera di «mediazione» tra i «princìpi» e la complessa realtà. Pluralista, dunque, sulla guerra, la Cei è rigidissima ed univoca nella sua opposizione ai Dico (o simili) o al testamento biologico. Ed è esattamente su questa problematica – quella della bio-etica – che nella passata legislatura Vaticano e Cei hanno fatto una fortissima pressione sul parlamento perché non passassero leggi che non traducevano in concreto i princìpi cattolici, tali definiti dalle gerarchie, in merito.

Alla radice di tale atteggiamento vi è la convinzione che solo il magistero cattolico possa sostenere una bio-etica degna di questo nome; solo esso può adeguatamente interpretare, erga omnes, la legge naturale; le Chiese non cattoliche, le altre religioni, il mondo «laico» nulla hanno da suggerire. Tali essendo le premesse, siamo avvertiti che anche nella nuova legislatura la gerarchia cattolica farà una «vigilanza» inflessibile per impedire che passino, a proposito della bio-etica, leggi sgradite ai vescovi. I «cattolici», quale che sia il partito in cui militano, saranno chiamati ad alzare un alto muro per sbarrare la strada a quelle leggi. Come truppe di complemento vi saranno, ovviamente, i «laici devoti». E, se vi saranno «mediazioni» per possibili leggi, esse dovranno essere accettate dai vescovi, altrimenti non passeranno.

Si rimane perciò esterrefatti a leggere, e sentire, che leader politici, commentando il discorso di Bagnasco, si sono affrettati a dire, o a fare intendere, che essi faranno proprie le indicazioni del papa e della Cei sulla bio-etica (silenzio, invece, sulla pace!); o a compiacersi che il cardinale abbia «confermato la linea di non coinvolgimento, come Chiesa, e dunque come clero e come organismi ecclesiali, in alcuna scelta di schieramento politico o di partito». Questi politici ignorano, o fanno finta di ignorare, che mai e poi mai la gerarchia ecclesiastica ha dichiarato di voler «interferire» nelle questioni politiche dell’Itala repubblicana; essa – dice – si occupa solo di «princìpi» e di «valori». Anche quando difende i corposi vantaggi derivanti dal Concordato.
Ai tempi dei referendum sulle leggi sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981) molti cattolici rivendicarono il loro essere tali, seppure si opponevano alle indicazioni delle gerarchie che chiedevano di cancellare quelli leggi. Anche nel referendum sulla maternità assistita (2005) alcuni cattolici si differenziarono dalle indicazioni dei vescovi: ma, purtroppo, furono pochi; i più – tra quanti in cuor loro dissentivano dalle tesi del cardinal Ruini, l’allora presidente della Cei – tacquero, o «disobbedirono» in silenzio. È tempo invece che i cattolici in disaccordo con i vescovi alzino la voce, e che «interferiscano» con loro – alla luce delle Scritture, e sull’input del Concilio Vaticano II – su come intendere, e come concretamente attuare, le proprie responsabilità battesimali nella vita della Chiesa romana, e le proprie responsabilità di cittadini nella costruzione di una polis rispettosa delle differenze e costitutivamente «incapace» di assumere un unico punto di vista – quello della gerarchia cattolica, nel caso – come normativo per l’etica e la bio-etica di un paese giusto, plurale, laico e democratico.

Sono temi, questi, che dovremo approfondire anche nel dopo-elezioni. Ma, intanto, sul terreno più squisitamente politico, diamo la parola a esponenti di tre partiti – di centro-sinistra – che espongono le ragioni per cui invitano la gente a votarli. Ovviamente, anche sulle prospettive «laiche» che essi enunciano si aprono problemi che cercheremo di maggiormente esplorare dal nostro piccolo angolo di osservazione.

Luigi Sandri