Messaggio per la quaresima 2008

La potatura di Dio


Carissimi fratelli e sorelle,
con gioia vi scrivo, in occasione della Quaresima, bussando al vostro cuore, certo di essere da voi accolto, avendo già constatato con stupore quanta benevolenza ci sia in questa terra.
Il motivo per cui vi scrivo, infatti, è prima di tutto di ringraziare, descrivendo i primi passi del mio servizio, presso di voi in Molise, sostando poi con voi in una riflessione sulla potatura di Dio, cuore del messaggio quaresimale.

Il mio grazie
La prima parola che valorizzo è quella tra le più belle che ci siano: dire grazie, per come sono stato da voi accolto, in questi primi giorni del mio cammino in Molise, dove sono giunto, come ben sapete, per obbedienza alla voce del Papa.
E, al Papa, non si può dire di No!
Tanti i segni che ho ricevuto, di benedizione e di gioia condivisa.
A cominciare dal sole e dal cielo azzurro, che, inatteso, sta splendendo con vigore da diversi giorni, fin dal primo giorno del mio arrivo tra voi, partendo dal santuario di Castelpetroso, passando per Bojano e per Vinchiaturo, luoghi di grande cordialità. Il sole radioso di quel Sabato 19 gennaio resta impresso nel mio cuore e, credo, anche nel vostro. E se splende il sole, tutto cambia. Come quando il cuore sorride per l’Amore ricevuto. Così un cuore illuminato, vede con luce diversa ogni realtà.
Grazie poi della Liturgia in cattedrale, dove tutto è stato fatto con precisione, cura mirabile del canto, festosità di popolo, bellezza dei segni, sapendo così unire insieme solennità e cordialità. Cose non sempre facili da intrecciare, ma che qui vedo possibili.
Grazie soprattutto della presenza di tanti Vescovi, che mi hanno fatto corona, vera espressione di una comunione attesa, che di certo favorirà un cammino apostolicamente fecondo .
E con i vescovi, i numerosi sacerdoti, che ci hanno fatto corona, vera gioia per un vescovo: nel saluto affettuoso, uno ad uno, mi hanno incoraggiato, sostenuto, rivitalizzato nel cuore.
E vi dico grazie delle parole di affetto, preghiera assicurata, vicinanza, sostegno che la gente mi dona, ogni giorno, in modo sempre più visibile, in strada, nei negozi, negli uffici, nelle varie manifestazioni.
Soprattutto vi chiedo di pregare molto per il vostro nuovo Vescovo, come di ricordarvi sempre del mio amabile predecessore, mons. Armando Dini, che, con zelo e preghiera, tanto si è prodigato per questa arcidiocesi, in modo da poter innestare con serenità il nuovo nell’antico, in gratuità e continuità.
Di grande conforto per mia mamma, anziana di 88 anni, appena compiuti, l’aver trovato una casa confortevole e bella, dove tutto si svolge con serenità e gusto.
E per me, come vostro Pastore, aver visto una Curia ben organizzata, chiara nei compiti, leale nei rapporti. Da continuare, in modo da servire sempre meglio.
Per parte mia, farò di tutto per rendere visibile il grazie attraverso quella cordialità che sempre mi ha accompagnato, in un sorriso aperto e leale, che mi auguro non si possa mai spegnere sul mio volto.

Le prime fatiche...
Certo, come ogni vescovo nuovo che si insedia in una diocesi, anch’io vivo in questi primi giorni delle emozioni fortissime, che mi piace condividere con voi, certo che, nella condivisione, scopriamo il metodo per affrontare poi insieme, giorno per giorno, i quotidiani problemi che incontreremo sul nostro cammino.

La prima fatica sta proprio nell’essere stato tanto atteso, in diocesi, al punto da apparire, in modo improprio, come “il salvatore, colui che risolve, di colpo, tanti problemi annosi”.
E’ un’attesa confortante, da una parte. E vi ringrazio delle attestazioni di affetto e di vicinanza che mi avete espresso in molti modi. Ma è un’attesa che può risultare insidiosa, se ci si aspetta tutto, ora, dal nuovo vescovo. Se cioè diviene un atteggiamento deresponsabilizzante. Un vescovo non fa mai nulla senza i suoi preti. Né i preti senza i loro fedeli. Un vescovo lavora bene se costruisce un percorso comune e lo percorre per primo, ma mai da solo! Sempre insieme. Mai senza l’altro!
Gli stessi apprezzamenti alla figura del vescovo hanno senso solo se hanno una ricaduta positiva sull’intera comunità diocesana! Altrimenti, si separa il vescovo dalla sua gente. Con danno reciproco. Nessuno infatti esce da solo dai problemi, ma usciamo sempre insieme.

Ho sempre detestato chi risponde ad un giovane con questa frase: “Non ti preoccupare...stai tranquillo, ci penso io!”.
Sono invece convinto che questa debba essere la risposta corretta: “Il tuo problema è reale...perciò ti dono una mano, volentieri...perché possa sciogliere quel nodo e possa tu risolvere quella questione...”!.
Ogni problema è come una porta chiusa. Ma c’è sempre la chiave. Va soltanto trovata e cercata, con passione. E soprattutto insieme. Grazie quindi per ogni suggerimento, per ogni consiglio positivo, per le proposte fattive che voi stessi mi indicate, con rispetto e fiducia. Matureremo insieme, in un operoso discernimento comunitario. Dio vi benedica per questa leale vicinanza.
E se utilizzeremo questo metodo (pregare, sperare, cercare ed, eventualmente, anche piangere insieme), nessuna difficoltà ci farà paura.

La seconda fatica la vedo nell’intento di cambiare tante cose. Un’insidia che sento presente in certi interventi, con la voglia di interrompere così, fin da subito, il cammino precedente.
No! E’ la continuità il mio desiderio, procedendo con fiducia sulla strada tracciata dal mio amabile predecessore, mons. Armando Dini, cui va tutta la mia riconoscenza per il grande lavoro, spesso silenzioso, compiuto. Ha molto lavorato sulle radici, accompagnato da tanta preghiera, producendo una grande e bella chioma sull’albero di questa chiesa. Alla cui ombra, anch’io mi pongo, lieto per tanti frutti maturati insieme, opera sia del vescovo che vostra.

La terza fatica è invece l’opposto. Pensare cioè che tutto debba essere rigidamente conservato, congelato, mantenuto, che nulla possa essere cambiato. Anche questa insidia si innesta, talvolta, in certe decisioni che mi si presentano davanti.
No! Ogni vescovo non è mai fotocopia dell’altro. Ed ogni fotocopia sarebbe una brutta copia. Mi piace invece, come per papa Benedetto XVI dopo la grande figura di papa Giovanni Paolo II, dare una mia impronta personale alle cose, pur in continuità sostanziale con la precedente linea di fondo. Piccole modifiche, che creano però uno stile nuovo. Di giorno in giorno, lo costruiremo insieme.
Con il vostro aiuto e con la mano della Madonna, sempre vicina, supereremo di certo tutte e tre le fatiche e le insidie. Anzi, proprio le prove renderanno più chiara la nostra speranza.

Aggiungo una considerazione: quanto ho scritto ora sulle mie tre fatiche, davanti al nuovo cammino che il Signore mi pone, credo che siano le stesse realtà che ogni prete vive quando entra in una parrocchia nuova. Oppure sente ogni amministratore, quando assume una nuova responsabilità.
Tutto infatti nella vita va fatto con questo triplice cuore: corresponsabilità come metodo, continuità nella linea, innovazione nello stile. Vincendo così tre insidie pericolose: la delega facile e deresponsabilizzante, la rottura con il passato che si fa alla fine vanità personale, la rigidità nelle relazioni, che blocca la speranza.
E prego Dio con voi perché il cammino di tutti, ad ogni livello, sia siglato da queste parole, che raccolgono il monito dell’apostolo Paolo: “Ma chi è Apollo? Chi è Paolo? Semplici servitori per mezzo dei quali voi siete giunti alla fede. A ciascuno di noi, Dio ha affidato un compito. Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere. Perciò, chi pianta e chi innaffia non contano nulla: chi conta è Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi innaffia hanno la stessa importanza. Ognuno di loro riceverà la ricompensa per il lavoro svolto. Siamo infatti collaboratori di Dio nel suo campo e voi siete il campo di Dio” (l Corinzi, 3, 5-9).


SECONDA PARTE:
I luoghi che mi hanno parlato...

La strada, su cui il Signore mi ha posto, si è aperta subito con un precisi messaggi, tramite sette luoghi, che mi hanno “parlato” in questi giorni. Sono un simbolo, da intrecciare bene insieme. Ve li racconto, con il cuore già orientato alla quaresima.

1) Castelpetroso. E’ da qui, da questo luogo segnato dalla presenza della Vergine Addolorata, che è partito il mio cammino di vescovo tra di voi. E’ un segno importantissimo per me, perché ho chiesto a Maria Addolorata la grazia di poter asciugare molte lacrime nella mia vita di vescovo in questa terra, antica e nobile, in modo da permettere a chi piange di non oscurare il volto di Dio.
Mi chiedo, infatti, spesso: “Le lacrime, sui nostri occhi, impediscono o migliorano la visione del volto di Dio?”.
La risposta che mi sono dato, dopo aver a lungo camminato con la gente, è stata questa: “Dipende...perché c’è gente che nel dolore ritrova la fede, ma c’è anche chi, nel dolore, perde la fede.
Dipende da cosa, allora?
“Se le nostre lacrime sono asciugate da una mano amica, vicina e solidale, allora quelle lacrime aumentano la visione del volto del Signore. Ma se nessuno si accorge del tuo dolore, se soffri in silenzio, da solo, allora quelle lacrime, spesso oscurano il volto del Signore e cresce nel cuore nostro la rabbia e la cattiveria”
Questo, dunque, ho chiesto a Maria come Vescovo: “Fa che nessuna lacrima resti dimenticata sul volto della gente del Molise e donami la grazia di star vicino a chi soffre, per asciugare quelle lacrime e ravvivare sempre la speranza!”.

2) Campobasso. Mi ha accolto con cuore grande, tra ali di folla, vera consolazione ma soprattutto onore a questa terra, che si fa accogliente ed ospitale per chi viene da lontano. Tutti ne sono rimasti edificati ed incoraggiati. Gli amici di Trento e quelli di Calabria hanno colto il cuore vostro, intessuto di nobiltà e calore.
Ma è stato il passaggio del Pastorale, dalle mani sante di mons. Armando Dini a quelle, fragili e tremanti mie, il momento culmine della celebrazione, resa più bella dai canti, dalla partecipazione di tanti vescovi e sacerdoti, dal calore della gente, dall’omelia benevolmente ascoltata, nella quale ho chiesto le tre “P”, come stile di cammino: Parola, Preghiera e Povertà.
Ho chiesto al Signore Gesù Cristo, Pastore dei pastori, la grazia di avere una chiesa unita, dove si vive un cuore solo ed un’anima sola, che cammina verso la stessa meta pur con un passo diversificato a seconda del cuore. Ho sentito che potremo farcela, proprio perché siamo partiti bene, con quel gesto di “omaggio” al vescovo, non formale, ma vissuto come la promessa di un’obbedienza leale, che si fa sinodalità.
Tutto dipenderà da qui. Nulla di più prezioso della comunione, che supera ogni divisione, perché la carità copre una moltitudine di peccati!
Divenire sempre più una Chiesa unita, vincendo gelosie e invidie, è l’obiettivo della Quaresima!

3) Il carcere. Ho scelto espressamente di celebrare, subito, come primo segno di predilezione, proprio nel carcere della città, rinnovando così un’esperienza che mi ha profondamente segnato nella mia vita di prete giovane, a Crotone.
Essere cappellano del carcere mi ha aiutato infatti a capire la gente, a scorgere l’importanza della misericordia. E’ in carcere che ho vissuto la dimensione decisiva della quaresima: incontrare la misericordia del Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Cadono i criteri direttamente meritocratici. Non si ama per avere, ma perché il cuore si modella sul cuore stesso di Dio: “Siate perfetti, siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste”.
Ho rivissuto così molte emozioni. Ma anche apprezzato il cammino di redenzione, proposto con saggezza nel nostro carcere di Campobasso, che passa infatti attraverso tre “P”: pena, percorso, progetto.
Quanto maggiore è la forza del progetto, tanto più leggera si fa la pena. Ed il percorso si illumina. Come per noi, in quaresima.
Grazie alle esperienze coraggiose della pastorale carceraria, che qui ho riscontrato. Bello è stato per me godere dell’animazione della Messa da parte di parrocchie della diocesi, che così divengono parte del cammino educativo per i fratelli ristretti. Fecondi i contatti tra società e carcere, già realizzati, anche con la creazione di piccole ma significative esperienze di cooperative. Straordinaria la disponibilità che la Caritas diocesana offre al carcerato, mettendo a sua disposizione un appartamento, la casa san Giorgio, per passarvi alcuni giorni di agognato permesso con i familiari.
Se il carcere si innesta nella società, allora la società si apre e diviene capace di riconciliazione. Ognuno impara ad essere misericordioso con se stesso e con gli altri. E, nello stesso tempo, il carcere assume un progetto, che rende gestibile la pena, così da fare di questo periodo di detenzione non uno spazio vuoto, ma un’esperienza di pienezza rinnovatrice, che guarda al futuro con fiducia.
Un po’, come una quaresima in miniatura!

4) La città e la cattedrale di Bojano. Ci tenevo a vedere questa città antica, pur nelle ferite della sua storia, tra terremoti ed abbandoni. Perché raccoglie la storia antica di questa nobile terra e perché mi ricordava Gerace, la città eroica che veglia sulla Locride, che in questi anni abbiamo in parte restaurata nella sua bellezza primigenia. A Bojano, ho sperimentato il calore popolare della gente, l’affetto per la storia gloriosa del passato, i tre cori uniti, le rose gialle (l’unico colore che non ingiallisce!), la singolarità dei segni come le fonti d’acqua che escono da sotto l’altare per farsi fiume, tra i colori del mosaico, benedizione delle nevi del Matese che svettavano nel cielo azzurro. E’ una città che ci insegna, come popolo del Molise, ad essere sempre fieri del nostro passato, a valorizzare in pieno quanto la storia millenaria ci ha consegnato, a fare delle tradizioni un messaggio di spiritualità incoraggiante per un mondo sempre più tristemente omologato.
Sono le scelte chiare che anche la quaresima ci invita a riscoprire, lavorando sulle radici, perché le radici non gelano e reggono anche quando, d’inverno, le foglie cadono e la chioma si perde.
Il lavoro sulle radici però spesso non paga. Esige infatti silenzio, digiuno, fuga dal mondo. E’ il tempo del deserto. Come in quaresima. Ma è anche il tempo in cui si costruisce la propria identità E solo una chiara identità produce una forte dignità. Non c’è infatti dignità se non c’è identità. E solo una chiara identità genera una coerente dignità. La storia le genera entrambe.
Commovente l’incontro con la casa di riposo, sgorgata dal cuore appassionato di mons. Antonio Nuzzi, che vi è ospite umile e sereno, forte nella sua fede, saggio nel reciproco consiglio. La carità sia la dimensione anche della nostra quaresima. soprattutto la visita ai luoghi del dolore e della fragilità. Certi, che ivi, il volto di Dio si fa visibile: Ero malato...e siete venuti a visitarmi.

5) L’ospedale. L’ospedale è sempre una scuola. Parla con efficacia e chiarezza. Si sente il cuore di un Dio amante della Vita.
Al Cardarelli (la Cattolica non ho ancora avuto modo di visitarla!) ho trovato tanto impegno, qualità professionale, dedizione generosa, vicinanza del cappellano, gioia nei volontari, lezione di vita nei pazienti, pulizia negli ambienti.
Personalmente, poi, rivedo la mia operazione al cuore, per la sostituzione della valvola mitralica (non poteva essere altrimenti, per un vescovo...!), nove anni fa. E grazie a quel ricamo, sento rivivere dentro la speranza del domani, che mi permette di correre, camminare con passo svelto, emozionarmi per le piccole e grandi cose fatte da Dio nella mia vita.
Certo, intuisco che il tema della sanità, in Molise, è un tema scottante e richiede una riflessione ponderata, matura e coraggiosa. Tema da capire bene, un po’ alla volta, anche con il vostro aiuto.
Perché non è un problema da delegare a pochi, ma da rendere di comune portata. Tutti devono esserne coinvolti. tutti corresponsabili: genitori, pazienti, medici ed infermieri, cittadini comuni, associazioni di volontariato, sindacati, politici.
E le scelte, non devono essere compiute solo per motivi economistici. Ma fatte con lungimiranza e saggezza.
Non è la quantità che fa la qualità, ma è la qualità che fa la quantità!
Con uno sguardo alla realtà vasta di un territorio, oltre la questione delle strutture. La gente deve sentirsi bene nel proprio ambiente, sentirlo come casa sua, da amare e da rispettare. Fatto perciò ambiente vitale, in un’etica che si fa bio-etica, nel termine più pregnante, cioè una terra che si fa giardino. Per tutti e sempre.
E tra i malati, un posto speciale l’hanno nel mio cuore di vescovo i sacerdoti ammalati ed anziani, che progressivamente sto andando a trovare nelle loro case, essi che sono il segno eloquente del Cristo crocifisso, che offre la sua vita per la salvezza di tutti. Come l’Agnello di Dio, essi sono coloro che nella Chiesa portano avanti la redenzione, nel loro offrirsi in stile di intercessione. E vivono per primi quel cammino quaresimale, che tramite la potatura di Dio ci porta alla fioritura pasquale.
6) La comunità “La Valle”. Mi ha molto colpito questa comunità di ricupero, sulla strada per sant’Elia a Pianisi, a due passi da un luogo simbolo, perché ha lanciato padre Pio nella grande avventura della vita Religiosa.
Qui, lo zelo di un altro figlio di Francesco d’Assisi (il santo che ha scelto di abbracciare il lebbroso vedendovi l’impronta del Cristo) ha creato una comunità dove l’abbraccio alla storia di dolore è l’unica via per la guarigione fisica e soprattutto psicologica e spirituale di tanti giovani e (purtroppo!) anche adulti, con figli e moglie.
Il disagio, che essi curano con professionalità, ha fatto sgorgare in me (e credo in voi tutti, se farete visita a questa bella struttura, specie in quaresima....!) precise riflessioni.
Prima di tutto, è doveroso un grazie, perché qui vengono scaricati tanti problemi che la società altrimenti non saprebbe risolvere. Purtroppo, facilmente li delega in modo sbrigativo, affidandoli a chi se ne assume, eroicamente, il peso. Una delega facile ma anche deresponsabilizzante.
Anche qui, perciò, come in carcere, ho chiesto a Dio un cuore attento ad ogni disagio, per non scaricare i problemi sugli altri, capace di unire sempre e mai separare le lacrime sul volto dalla mano che le asciuga. La nostra società, infatti, matura se viene a contatto con il disagio. Ed il disagio, solo se assunto insieme, non produce morte ma stimola soluzioni nuove.
Certo, questa comunità ci chiede di imparare da chi ha sofferto, da chi è caduto nella droga, da chi ha abusato dell’alcool. Per evitare che altri vi cadano. Ma per questo, occorre che questa comunità (ed altre simili!) siano a contatto con la realtà della gente. Specie dei giovani. Che le scuole e le parrocchie aprano le porte a queste testimonianze di liberazione dalla droga. Imparino un metodo, che è quello del sacrificio, della sobrietà, della ricostruzione della personalità tramite l’osservanza di regole semplici ma esigenti!
La quaresima rinnova questa occasione di sguardo comune alla Croce, per vedere come anche noi, tante volte, abbiamo fatto come il prete della parabola: non ci siamo fermati, anzi siamo passati oltre, dall’altra parte!

7) Le Pastorali. Mi piace questo termine, inedito, sbrigativo, per indicare alcuni locali che tutti voi ben conoscete, accanto alla casa del Vescovo, a Campobasso.
E’ bello veder riuniti insieme, uno accanto all’altro, i vari uffici della vita pastorale di una diocesi. Anche se non ancora tutti!
Nella certezza che non si tratta solo di una vicinanza di contiguità, in stile condominiale, perché costretti. Ma sta divenendo, anche per l’azione intelligente e tenace di mons. Armando Dini in questi anni, uno stile di vita apostolica.
Cioè, pensare la pastorale insieme, organizzare eventi in stile comunitario, progettare un organico piano pastorale, portare avanti realtà comuni.
Bello è in questa logica, ben riuscito e fatto simbolo di questo stile, il sussidio per la Quaresima, dal titolo efficacissimo: La Parola di Dio cresceva e si diffondeva...e due diocesi camminano insieme...”.
E’ il frutto comune di tutte le pastorali diocesane, perché il cammino quaresimale possa accrescere nel cuore di ciascuno il gusto di lavorare insieme, del soffrire insieme, in gioia condivisa e reciproca intercessione.
Con un sogno, che ogni vescovo coltiva in sé: la Curia sia sempre l’anima non tanto giuridica, ma soprattutto pastorale di tutta la diocesi. Stimoli, faccia pensare, susciti emulazione, suggerisca piste nuove, appoggiando chi già le persegue.



TERZA PARTE:
la quaresima, tempo della potatura di Dio.

Nell’omelia d’ingresso a Campobasso, ho paragonato l’obbedienza che il Papa Benedetto XVI mi ha chiesto alla potatura. Che fa soffrire, ma che ringiovanisce.
Ebbene, la primavera è tempo di potatura. E la quaresima è potatura, per prepararci alla fioritura della Pasqua.
Lo sanno benissimo i nostri contadini: un albero se non lo poti, muore. Se lo poti, rinnova la sua forza per un raccolto più abbondante... E’ la logica della vita, come ce l’ha descritta il Vangelo: “Chi ama la propria vita la perde e chi perde la propria vita per il Vangelo, la ritrova”.
Ma potare è un arte difficile e fonte di sofferenza, lenta da apprendere... E’ Dio il potatore della nostra vita: “Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti maggior frutto...Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore” (Gv 15,1-2).
Lui sa quando e cosa potare. Dio conosce quali cose dobbiamo lasciare e quando ne è il momento. Ed anche il perché. Perché la potatura non è mai fatta per “tagliare soltanto”. E’ fatta soprattutto per ridare nuova vitalità. Certo, il contadino quando taglia, non guarda il ramo che cade. Spesso, anzi, taglia proprio il ramo più grosso, lasciando un esile tralcio che tende al cielo. Ma in quel tralcio fragile, il contadino, con gli occhi della “fede”, già “intravede” l’abbondanza dell’uva matura. Chi non è contadino, si stupisce, perché vede solo il presente, non si rende conto, non sa spiegarsi certi tagli. Solo il contadino capisce, non perché vede, ma perché “intravede” con gli occhi della fede

La Quaresima a questo serve: capire lo stile di Dio, il suo intervento nella nostra vita, il perché della sua potatura...Ma per poter capire questo, occorre armarsi della ”fede” del contadino: mai guardare indietro né giudicare solo con il criterio del presente. E’ il raccolto, non la potatura, il criterio di verità: “Beati quelli che piangono, perché saranno consolati” (Mt5,4).
Ce lo ricorda, con frase scultorea, il Manzoni, che tanto aveva pianto per le inattese potature di Dio nella sua vita di sposo e di padre: “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande”

E’ la fede quindi che addolcisce la sofferenza della potatura con la gioia del raccolto; è la fede che riempie di speranza il sacrificio; è la fede che trasforma il dolore in fecondità; è la fede che ti lancia nella vita oltre il presente, per non rimanere incastrato nella paura.
Paura e fede si combattono a vicenda. Dove c’è fede, non c’è paura e purtroppo, se c’è paura, è segno che poca è la fede che ci sorregge.

I coltivatori della fede
Sono soprattutto i genitori, con la parola giusta al momento giusto e dimostrando forza e coraggio nelle tribolazioni della vita. Ascoltino le domande talvolta “irriverenti” dei figli, sappiano spiegare, consigliare, capire.
La loro fronte, segnata dal Battesimo e dalla Cresima, non si pieghi di fronte a nessun ricatto, per la forza della fede, frutto dello Spirito dono del Signore.

Le nonne trasmettano i proverbi più belli ai nipotini, per condire di “sapienza” cristiana tutti gli avvenimenti della vita, superando il fatalismo, nella certezza di amore di un Padre “che vede e provvede”.

La gioia dei sacerdoti sia quella di seguire i propri fedeli in questo cammino di fede. Creare uomini e donne di fede sia la loro fierezza, con una particolare attenzione ai “lontani”, da incontrare con cuore grande e acutezza di mezzi (“centri familiari di ascolto, iniziative bibliche e mariane, dialogo aperto nelle piazze o nei bar, sosta con i ragazzi sui muretti della villa del paese..., sempre con un accattivante sorriso, che conquista più di ogni parola...”)

Esorto i religiosi a diventare i primi fratelli in questo comune cammino verso la celeste Gerusalemme. Siano uomini e donne “dall’occhio penetrante”, proprio per la tensione escatologica che li contraddistingue come carisma. E segno di questa forza di fede sia, anche per loro, la serenità del volto...

E’ poi all’interno di una comunità cristiana che la fede si rafforza, nella lode divina, nel dialogo, nella fraterna esortazione o correzione, memori sempre dell’antica esperienza: ”la fede, donandola, si rafforza”.

Guai ricorrere ai maghi, alle fattucchiere. Siate credenti e non creduloni, riducendovi a leggere oroscopi o promettenti tabelle dietetiche. Non svendete la vostra libertà a slogan pubblicitari...Dove non c’è fede, si vuole esorcizzare il domani con i talismani costosi ed inutili dei cartomanti...
La fede invece è libertà, è serenità, è forza, è lotta contro ogni violenza.
La fede infatti è vedere la vita con gli occhi di Dio.

I rami che dobbiamo tagliare
Certo anche noi dobbiamo, in questa Quaresima, fare una grossa pulizia interiore, tagliando dal nostro cuore certi rami secchi o spinosi o malati.
I rami secchi sono il fatalismo, la rassegnazione, l’indifferenza. Quando chiudi la tendina del tuo cuore sui problemi degli altri, quando dici: “Tanto, a me che interessa...”, e lasci che il fratello se la sbrighi da solo, annaspando nel fango della tristezza.
I nostri mali sono causati non tanto dalla cattiveria di pochi malvagi, ma dalla indifferenza di tanti buoni!
Il tuo problema è anche il mio e allora, se lottiamo insieme, uno per l’altro e uno con l’altro, ogni macigno sulla nostra strada potrà essere rimosso e gettato via...

Altri rami sull’albero risultano spinosi o sterili. Sono le nostre cattiverie, invidie, le gelosie, i giudizi cattivi, le rabbie coltivate nel cuore.
Guai a chi ci tocca. Scattiamo subito, con risposte che feriscono più di un coltello
Ci sono poi quelli che vivono alla giornata, che non si impegnano per gli altri, chiusi nel loro egoismo. Hanno sempre una scusa. Preferiscono le scorciatoie, con gravi rischi di cadute. Cercano i “miracoli”, chiedono “esorcismi”, accusano sempre il governo o il sindaco o il parroco o il vicino ...mai se stessi.

I rami malati sono purtroppo ancora tanti da tagliare: guadagni illeciti e facili, soldi prestati ad usura, speculazioni sulle disgrazie altrui, la malavita che si insinua anche nel Molise se non vigiliamo, le mani sporche di droga, il desiderio maligno di vendetta, il lavoro nero, le raccomandazioni che sviliscono ed uccidono la professionalità e la speranza.....

La Quaresima ci aiuti a prendere coscienza della situazione del nostro albero e ci dia il Signore il coraggio di cambiare, di convertirci, tagliando concretamente:
* l’indifferenza che uccide,
* la cattiveria che paralizza
* l’ingiustizia che produce morte.

Le fioriture sui rami
Ma sento anche che Dio è più grande di noi. Con stupore, in questo periodo, come ho detto sopra, descrivendo i setti luoghi che mi hanno accolto, già intravedo sui rami una fioritura di forte speranza, che supera i nostri calcoli e le nostre paure.
La quaresima ci dia così la possibilità di star più vicino ai giovani che chiedono accompagnamento e chiarezza.
Ci sia più spazio per la Parola, meditata e fatta tesoro nel cuore e nelle nostre comunità. E nelle parrocchie, chiedo che sia sempre meglio annunciata, con solennità, cadenza, senza fretta, con gioia sul volto.
Le comunità religiose pratichino la Lectio e la insegnino ai giovani e alla gente.

Ci sia poi spazio crescente per la Preghiera, personale e comunitaria. In reciproca intercessione. Incoraggio l’adorazione e i tempi della gratuità davanti a Dio, di giorno e di notte. E grazie per chi lo fa! Mentre san Pietro era in carcere, senza speranza, la comunità elevava a Dio una preghiera incessante. E quelle porte sbarrate si aprirono, i ceppi si spezzarono, il buio si illuminò di speranza...perchè nulla è impossibile a Dio!

Lo stile di povertà si faccia stile di sobrietà, riflettendo anche sulla lezione che ci sta dando la triste emergenza dei rifiuti nelle regioni vicine. La quaresima, con il suo forte appello al digiuno, è tempo propizio per rinnovare scelte di coraggio, tagliando soprattutto con i guadagni illeciti e con lo spreco delle risorse, ad iniziare dall’acqua, risorsa preziosissima, ma fragile, anche in Molise.

Le associazioni e i movimenti diano nuova coscienza e nuovo coraggio al laicato, per respingere ogni forma di male, i diritti siano rivendicati come diritti e non chiesti come favore, impegnandosi in prima persona a rendere più bella questa terra, dignitosissima, del Molise, specie stando vicini ai giovani, che chiedono tanto accompagnamento e chiarezza.
con gli occhi del contadino...
Con gli occhi del “contadino” “intravedo” un Dio che sta conducendo la nostra Chiesa ad un cristianesimo di “qualità”, capace di valorizzare il “poco” che abbiamo nelle nostre povere mani.
“Intravedo” la fecondità che sgorgherà da tante lacrime sparse sulle colline del Molise. Nasceranno cristiani coraggiosi, maturi, famiglie più unite e solidali e aperte. Non è possibile che tante lacrime siano versate invano. Possano invece fecondare questa nostra terra!

“Intravedo” una fioritura vocazionale, frutto dei sacrifici silenziosi e nascosti di tanti preti fedeli, vicini alla gente ed eroici, di quell’eroismo evangelico, spesso non riconosciuto dai giornali...
“...Ed intravedo”...sullo sfondo di questa Quaresima il costato aperto del Cristo risorto che accoglie le nostre mani tremanti, per poter, tutti insieme, proclamare: “MIO SIGNORE E MIO DIO”, come ho scritto sul mio stemma, guardando all’apostolo Tommaso.
Con affetto di padre,

Campobasso, 2 febbraio 2008, festa della presentazione di Cristo, Luce del mondo
+ p. GianCarlo, vescovo