Pensando



Rosarno... e noi cristiani

di mons. Luigi Bettazzi*

I fatti di Rosarno ci interpellano tutti, noi cristiani per primi. Da un’automobile, restata anonima, partono fucilate contro lavoratori neri, impegnati nella raccolta di agrumi, ma trattati come schiavi, sia per l’ammontare della paga giornaliera che viene loro consegnata (dopo le decurtazioni di chi li assolda per il lavoro), sia per le condizioni di alloggio, miserrime, a cui sono condannati. E questi, forse anche impauriti per attacchi che posssono essere mortali (a Castel Volturno sei immigrati hanno perso la vita in situazioni analoghe), reagiscono distruggendo e incendiando. Reazione da condannare, certamente, che fra l’altro ha portato alla fuga di quasi tutti gli immigrati; e forse era questa la cosa che si voleva.

Ma chi, anche tra i governanti che hanno condannato – giustamente – la rabbia distruttiva, ha anche solo fatto cenno a quanto l’ha provocata? E non parlo solo delle fucilate, che resteranno anonime, bensì degli anni in cui tutti sapevano (e tutti vedevano) le condizioni di lavoro e di vita dei migranti. E poi si parla di politica dell’amore e della libertà. In realtà si tratta di “amore di sé” (cioè egoismo) e di “libertà nostra” (pagata con la schiavitù di altri).

Mi chiedo quale debba essere la nostra reazione come cristiani?! Perché è vero che chi ha soccorso questi poveracci è stata la Chiesa, con qualche aiuto materiale, prima, poi con l’offerta provvidenziale degli automezzi di fuga. Ma è anche vero che la prima carità è la giustizia, e il rispetto della legalità. L’impressione invece è che, pronti alla carità come elemosina, non lo siamo altrettanto alla prima carità, appunto alla giustizia. Si parla tanto – e giustamente – di principi irrinunciabili, applicandoli in primo luogo alla salvaguardia della vita, dal suo sbocciare al suo tramonto; ma non si riesce a puntualizzare che la vita va salvaguardata anche nella sua pienezza, e non solo in quella della “nostra”, ma in quella di ogni nostro fratello, di ogni essere umano. Il vero antagonismo a Dio è “mammona”, parola aramaica che noi traduciamo oggi con “ricchezza”, ma che implica anche il “potere”: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). Perché questa porta poi a diffondere la mentalità in cui ognuno cerca solo i propri interessi, manipolando le leggi (o creandosene a proprio uso e consumo) e frodandole con tutti gli espedienti possibili. Poi ci lamentiamo se i giovani fanno “i furbi” o i “bulli”, se non hanno più veri ideali, né civili né religiosi: glielo abbiamo insegnato noi adulti!

Credo che di fronte alle chiusure dell’individualismo e dell’egoismo, manifestazioni del peccato originale, il primo principio irrinunciabile del cristianesimo sia proprio “amare anche i diversi” (il Vangelo dice: “Amate i vostri nemici”, Mt 5,44), sia “farsi prossimo” di chi si trova in difficoltà (v. il buon samaritano, Lc 10,36). Se no, il dirsi cristiani può diventare un’etichetta per coprire i propri interessi, magari difendendo il crocifisso dopo aver “giocato” con le religioni antiche e dopo aver oppresso e umiliato tanti sventurati. Già Gesù ammoniva: “Non chiunque mi dice ‘Signore, Signore’ entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21); ed il “comandamento”, il “precetto” di Dio è proprio che “ci amiamo gli uni gli altri” (1 Gv 3,23).

Il Papa ha ammonito fortemente, il Vaticano ha espresso chiaramente la sua condanna e anche la Cei ha parlato. Tocca alla Chiesa che è in Italia, cioè alle nostre comunità, a ciascuno di noi – clero in testa – testimoniare questo irrinunciabile principio della solidarietà, proprio a cominciare dalla giustizia del rispetto per ogni vita umana. Contro la tendenza alla chiusura dell’egoismo occorre rendere evidente al mondo cosa intendiamo noi per cristianesimo.

*Vescovo emerito di Ivrea



fonte Adista 25.01.2010