Rassegna Stampa

“Immigrati islamici sempre più legati alle patrie europee”

di Maria Serena Natale

Si concentrano nelle capi­tali e nelle cinture dei mag­giori centri produttivi, dalle periferie post-industriali di Anversa alle strade colorate del quartiere berlinese di Kreuzberg. I venti milioni di musulmani che vivono nel­l’Unione Europea sono una galassia articolata su più ge­nerazioni, attraversata da profonde differenze e, secon­do l’ultimo rapporto del­l’Open Society Institute anti­cipato ieri dal quotidiano bri­tannico Times , sempre più «affezionata» ai Paesi che li hanno accolti.

La ricerca della fondazio­ne del filantropo George So­ros è durata due anni e mez­zo e sarà presentata questa settimana a Londra, a meno di un mese dal referendum sui minareti in Svizzera che ha riportato al centro del di­battito europeo le condizioni di vita e il livello di integra­zione dei musulmani. L’idea era misurare attraverso inter­viste, questionari e gruppi di riflessione lo spirito «patriot­tico » delle comunità islami­che dell’Europa occidentale. Lo studio focalizza l’attenzio­ne su una decina di città spar­se tra Gran Bretagna, Olan­da, Francia, Belgio, Svezia, Danimarca e Germania. In controtendenza rispetto alle rilevazioni degli ultimi anni, i più legati al Paese in cui vi­vono risultano i musulmani del Regno Unito: il 78 per cento si percepisce e identifi­ca come «britannico», con­tro il 49 per cento in Francia e il 23 per cento in Germania (dove i musulmani hanno ac­quisito il diritto alla cittadi­nanza solo negli anni Novan­ta). Le percentuali sono cal­colate stabilendo una media tra le diverse località esami­nate, nel caso inglese Leice­ster nelle East Midlands e il distretto est-londinese di Waltham Forest, storico baci­no d’immigrazione. Il patriot­tismo cresce tra gli immigra­ti di seconda generazione: si dice britannico il 72 per cen­to degli intervistati nati al­l’estero, contro il 94 per cen­to dei nati nel Regno.


I risultati sono destinati a imprimere nuovo slancio al­la discussione sul multicultu­ralismo britannico criticato in questi anni dallo stesso presidente della Commissio­ne per l’Eguaglianza e i Dirit­ti umani Trevor Phillips, che ha più volte denunciato i pe­ricoli di un’organizzazione sociale fondata su comunità etniche e culturali tendenzial­mente separate. E torna in primo piano il confronto con il modello francese impronta­to a una strenua difesa del principio di laicità, base dell’identità repubblicana e al­l’origine di contestati provve­dimenti come la messa al bando del velo nelle scuole pubbliche.


«Dalla ricerca emerge un dato preoccupante — avver­te Nazia Hussain, direttrice del progetto At Home in Eu­rope finanziato da Soros —: anche se i musulmani si sen­tono prevalentemente britan­nici, non sono visti nello stesso modo dal resto della società». Per un sondaggio del Financial Times del 2007 proprio gli inglesi erano i più diffidenti nei confronti della minoranza musulma­na, mentre secondo una re­cente rilevazione del quoti­diano Le Parisien il 54 per cento dei francesi considera l’Islam incompatibile con i valori fondanti della Républi­que.


Sui sondaggi pesa il trau­ma degli attacchi terroristici alle società occidentali, da New York (2001) a Madrid (2004) a Londra (2005). La sfida per l’Europa, spiega il rapporto, è proprio questa: garantire la coesione sociale e uguali diritti in un clima di tensione politica, recessione globale e crescente meticcia­to.

fonte: “il Corriere della Sera” del 14 dicembre 2009