Rassegna stampa

Quella integrazione finta che nasconde un abisso culturale

di Ida Magli



Cosa può dire un antropologo di fronte ad una simile tragedia? La reazione più immediata è la rabbia. La rabbia contro i politici, contro i leader che, in Italia e in Europa, da anni si ostinano a parlare di “integrazione”, con l’ottusa presunzione della loro ignoranza e la freddezza di chi non prova neanche a immaginare le passioni, i sentimenti, le ragioni di chi è “diverso”. La “superiorità” della politica, ossia di coloro che detengono il potere, verso qualsiasi scienza, soprattutto quando questa non serva a puntellare le mete che si sono proposti, non si è mai manifestata con tale sprezzo e tale ostinazione come in Europa negli ultimi anni.


Il motivo non è difficile da capire: dal momento in cui è stato deciso l’accoglimento di tanti popoli diversi, si sono dovute cancellare, come se mai fossero esistite, le conoscenze accumulate dalle scienze umane, a cominciare dall’Antropologia culturale fino alla Fenomenologia religiosa, alla Linguistica, alla Psicologia, alla Nuova Storia. Più queste rivelavano l’importanza delle differenze culturali, più i politici decidevano invece che siamo, che dobbiamo essere, tutti uguali. Vieni da un altro paese, da un’altra cultura? Niente paura: ti insegno qualche briciola della lingua, e via.


L’aspetto più tragico di questo comportamento, però, è quello che riguarda le religioni. I politici hanno trovato la più semplice delle soluzioni: è sufficiente non parlarne. Anzi, l’hanno trasformato in un ordine: quello del politicamente corretto. Nessuno si azzardi a discuterle, a criticarle, a metterle a confronto. Le religioni sono tutte alla pari e vanno rispettate tutte allo stesso modo. Due secoli intensissimi di studi sul Sacro, sul significato culturale globale che ogni religione porta con sè, sono stati spazzati via, scuotendo le spalle, come un inutile fardello.


Non soltanto non si è volutotenere conto del presente, ma di fatto non si è voluto neanche riflettere sul “nostro” passato, quei secoli terribili in cui la Chiesa, dimentica del Vangelo e spinta anche dalla presenza dei musulmani in Europa, ha messo in atto le norme più rigide dell’antico testamento. Abbiamo dimenticato le migliaia di ragazze condannate dai padri al carcere monastico a vita, alla reclusione, a quello che Arcangela Tarabotti chiamava “l’inferno monacale”; abbiamo dimenticato gli innumerevoli duelli in cui ci si uccideva per difendere l’onore offeso dal comportamento di una sorella, di una figlia; abbiamo dimenticato le condanne al rogo per sodomia perfino nei confronti dei coniugi (nella civilissima Repubblica di Venezia l’ultimo rogo di questo genere si è tenuto nel 1717). Proprio noi, gli Italiani, sottomessi per tanti secoli alla legge biblica invece che a quella evangelica, avremmo dovuto mettere in guardia gli altri Stati d’Europa sulle enormi difficoltà che avrebbe comportato l’ immigrazione musulmana a causa, appunto, di una religione che è tutt’uno con il modello culturale.


Inutile dire che sono le donne – mogli sorelle figlie – le vittime predestinate di tale modello. Nel Corano le donne sono “di un grado inferiori agli uomini” (Sura della vacca, 228), tenute all’obbedienza e al nascondimento, soprattutto sessuale, come è facilmente comprensibile anche soltanto dal tipo di abbigliamento che ne nasconde quasi del tutto il corpo. La loro funzione è quella di servire nel matrimonio ai desideri del maschio, ai suoi bisogni, mettendo al mondo il maggior numero di figli. E’ evidente che la società occidentale odierna è in totale contrasto con i dettami del Corano per moltissimi aspetti, ma soprattutto per i costumi femminili e per i rapporti familiari. Chi può aiutare, non soltanto un padre marocchino, ma anche una figlia musulmana di diciotto anni ad affrontare una vita totalmente libera, senza norme religiose, quale oggi si presenta in Italia? Chi se la sente di affermare che questo è possibile senza terribili traumi? Certo, la tragedia di Pordenone è un caso estremo, ma non è il solo e sicuramente altri se ne aggiungeranno se i politici continueranno a credere che sia sufficiente affermare che chi vive in Italia deve rispettare le leggi italiane.



fonte: Il Giornale, 17 settembre 2009