Sorpresa: la crisi fa male a sinistra.
Malessere sociale, risposte inadeguate.
Destre populiste e liberal-conservatori hanno sviluppato forti parole d’ordine.
di Barbara Fiammeri ed Emilia Patta
Svezia, Francia, Germania, Regno Unito. E naturalmente Italia. Che la sinistra e le sinistre siano in difficoltà in Europa è un dato di fatto. La parola chiave sembra essere redistribuzione: quando s’inceppa il meccanismo della crescita, la redistribuzione in senso più equo delle risorse non è più possibile. E le risposte della sinistra di fronte alla crisi non catturano la fiducia degli elettori, che premiano i liberal-conservatori e piuttosto guardano alle destre populiste. L’analisi dell’editorialista del Financial Times John Lloyd, pubblicata ieri dal Sole 24 Ore, dipinge uno scenario cupo per la sinistra europea, che sia al governo (come in Gran Bretagna) o all’opposizione (come in Svezia o in Italia). Splendida e isolata eccezione la Spagna di José Luis Rodríguez Zapatero, anche se Lloyd fa notare che anche lì, con una disoccupazione al 14%, potrebbe cambiare il vento: il mese scorso i socialisti sono stati costretti a cedere la Galizia.
«I socialisti di Zapatero sono stati i più pronti a mettere al centro le tematiche dei diritti civili e a cercare aggregazione su questo, che è un tema nazionale e non economico», ragiona Andrea Romano, docente di Storia contemporanea a Tor Vergata e ora firma del quotidiano «il Riformista». Che invita a riflettere sull’inedito modello australiano: il laburista Kevin Michael Rudd, che alla fine del 2007 ha vinto le elezioni attingendo a piene mani ai temi ecologici. «Rudd è personaggio di grandissimo interesse di cui in Europa si parla poco - dice Romano -. Nella sua visione i temi ecologici sono rinnovati nell’ottica di una crescita coniugata con il miglioramento dell’ambiente: non contro l’economia ma per l’economia. Un tema non a caso ripreso da Barack Obama e interessante anche dal punto di vista strettamente economico perché prevede nuovi investimenti».
Diritti civili e ambientalismo come temi post-economici su cui potrebbe puntare la sinistra riformista, dunque. Ma senza mai perdere di vista il binomio crescita-redistribuzione con occhio alla giustizia sociale. Ossia i motivi per cui la sinistra è tale. Il problema è che le attuali classi dirigenti della sinistra riformista europea, al timone durante la crescita degli anni 90 con la missione fondamentale di redistribuire, sono in difficoltà ora che non c’è da redistribuire. «Ma guai a tornare ai vecchi schemi degli anni 70 e alle parole d’ordine dell’intervento statale e del controllo statale dell’economia: quell’orizzonte è cambiato per sempre - fa notare ancora Romano -. Anche perché su questo terreno si è ormai scavalcati a destra. Visto dall’Italia è ancora più evidente: basta ascoltare il Tremonti anticapitalista, vien da dire con una battuta, che parla di crisi del mercatismo e del capitalismo finanziario». Insomma la sinistra riformista, nel nostro caso il Partito democratico, non deve rincorrere Tremonti sul suo stesso terreno. In generale perde la sinistra che usa la crisi per dire “avete visto il mercato non funziona, noi lo dicevamo”. In questo senso la crisi della sinistra radicale è per Romano ancora più grave, con l’eccezione della Francia «dove si deve tenere in conto il retaggio nazionale e particolare del giacobinismo». Più banalmente perde chi è pessimista, vince chi punta sull’ottimismo. «E in questo Silvio Berlusconi è un maestro».
Attorno alla parola chiave della redistribuzione s’incentra anche l’analisi di Riccardo Bellofiore, docente di Economia monetaria e Storia del pensiero economico presso l’Università di Bergamo e negli scorsi anni economista di riferimento di Fausto Bertinotti. «Chiaramente la sinistra è in difficoltà. Sia quella che si rifà al social-liberismo sia quella cosiddetta radicale. Il social-liberismo ha accettato senza discuterla l’idea liberista che l’ampliamento del mercato produce ricchezza, ha insistito più dei liberisti veri e propri sulla liberalizzazione del mercato dei beni e servizi e si è concentrato nella difesa di una redistribuzione della ricchezza meno diseguale. Da parte sua, la sinistra radicale ha abbandonato l’idea d’un cambiamento profondo del capitalismo per impuntarsi sulla “radicalizzazione” degli aspetti redistributivi». Insomma, la sinistra social-liberista ha sbagliato nell’immaginare che la produzione di ricchezza fosse stabile e che ci fosse solo il problema di come redistribuirla. Mentre la sinistra radicale ha sbagliato nell’abbandonare l’analisi e la critica di quello che un tempo si chiamava il meccanismo della produzione capitalista, ossia il modo in cui la ricchezza viene prodotta. Con l’effetto che il ritorno dello Stato come spesa pubblica diretta per fronteggiare la crisi, lungi dall’essere un tema fatto fiorire dal dibattito a sinistra, è stato imposto dai fatti e gestito in gran parte da Governi di centro-destra.
Il paradosso dentro il paradosso - fa notare Bellofiore con un occhio alle vicende dell’ultimo Prodi - è che «quando ci sono state esperienze di governo di centro-sinistra le richieste redistributive non sono state portate avanti per problemi di finanza pubblica “difficile” ereditata dalle precedenti gestioni di centro-destra». Inchiodati dunque al rigore del bilancio pubblico, quando pochi mesi dopo «l’aumento del disavanzo come politica per far ripartire l’economia è praticato in tutto il mondo». Una sinistra che vuole tornare protagonista per Bellofiore deve mettere o rimettere al centro tre aspetti: il tema dell’intervento dello Stato su banche e finanza; il tema del come si produce e dunque della programmazione; il tema del lavoro e della sua crescita in termini di qualità e quantità. Insomma, il capitalismo come libero mercato non sta in piedi da solo: ripartire dai liberal-socialisti di Ernesto Rossi - dice Bellofiore con un sorriso - basterebbe.
Ma la crisi della sinistra diventa una sfida anche per la destra, passata dal liberismo sfrenato degli anni 80 di cui sono stati protagonisti Ronald Reagan e Margaret Thatcher per arrivare alle posizioni conservatrici moderate di leader come Nicolas Sarkozy o David Cameron, che hanno sostituito il culto dell’individualismo e del mercato con il principio della responsabilità finalizzata a tutelare l’interesse non del singolo ma della comunità. «Oggi in difficoltà non è solo la sinistra ma anche la destra liberista. Le ragioni sono in parte le stesse - conferma Alessandro Campi, politologo e direttore della fondazione Farefuturo guidata dal presidente della Camera Gianfranco Fini - perché entrambe non hanno saputo capire e quindi offrire risposte adeguate alla fase storica che stiamo vivendo».
Quelle “paure” più volte richiamate da Lloyd sono state sottovalutate: «La sinistra ha visto franare davanti a sé il pilastro della crescita inarrestabile su cui aveva poggiato il sistema della socialdemocrazia, così come la crisi finanziaria ha evidenziato tutti i limiti di un mercato senza regole di cui la destra liberista si era fatta portavoce: la gente, i cittadini hanno visto minacciati il posto di lavoro, la pensione, le proprie case, la sicurezza della loro famiglia e l’unica risposta l’ha offerta la nuova destra conservatrice sicuritaria».
Anche Silvio Berlusconi se n’è accorto. Quei riferimenti continui alla rivoluzione thatcheriana non trovano oggi più spazio nei suoi discorsi. «Forza Italia - sottolinea ancora Campi - è nata come espressione di quella destra liberista di cui Berlusconi era l’emblema, ma la trasformazione intervenuta nell’ultimo decennio ha imposto una profonda rivisitazione. Giulio Tremonti è stato il primo a capirlo e anche Berlusconi ha modificato il suo atteggiamento».
Oggi si parla molto più di equità sociale («nessuno sarà lasciato indietro», ha detto nelle scorse settimane il presidente del Consiglio italiano), di comunità, di regole. È evidente, secondo Campi, che Berlusconi ha fatto proprie argomentazioni che erano assai più presenti in Alleanza nazionale o nella Lega «modificando l’originario orizzonte politico». Adesso però la destra ha di fronte a sé un passaggio delicato «perché deve dimostrare di saper governare la paura senza volerla cavalcare o, peggio, alimentandola». Campi fa esplicito riferimento alle posizioni del Carroccio sugli immigrati e la sicurezza: «È chiaro che la Lega punta ad alzare il tiro per raccogliere consenso elettorale, ma questo è un problema che il Pdl deve affrontare e risolvere per evitare pericolose involuzioni populiste e demagogiche».
Insomma, attenzione ai rischi del populismo, come sottolineato dallo stesso Lloyd alla fine della sua analisi: l’avanzata dell’estrema destra in Europa potrebbe concretizzarsi «di punto in bianco, come un’inondazione improvvisa».
fonte: da “Il Sole 24 Ore” del 22 aprile 2009