Crac di Borsa, il disastro perfetto
Il teorico dell’incidente a confronto con la crisi dell'economia mondiale
di GÉRARD COURTOIS, MICHEL GUERRIN
Nel 2002, con il titolo «Ciò che accade», Paul Virilio* aveva allestito alla Fondazione Cartier di Parigi una mostra sull’incidente nella storia contemporanea: Cernobil, 11 settembre, tsunami… A ispirarla era stato un aforisma di Hannah Arendt: «Il progresso e la catastrofe sono il dritto e il rovescio della stessa medaglia».
Professor Virilio, pensa che il crac delle Borse di questi giorni sia la realizzazione di quella formula.
«Certamente. Nel 1979, quando si produsse l’incidente nucleare nella centrale di Three Mile Island negli Stati Uniti, avevo parlato di “incidente originale”, di quelli che produciamo noi stessi. Dicevo che le nostre performance tecniche sono portatrici di promesse catastrofiche. Prima gli incidenti erano locali. Con Cernobil noi siamo passati a incidenti globali, con conseguenze che durano nel tempo. Il crac attuale rappresenta l’incidente integrale per eccellenza. I suoi effetti si diffondono lontano, e racchiudono la rappresentazione degli altri incidenti. È ormai da trent’anni che siamo prigionieri del fenomeno dell’accelerazione della storia e che questa accelerazione è all’origine della moltiplicazione dei grandi incidenti».
Lei crede che gli incidenti non vengano studiati abbastanza?
«La storiografia dominante si limita ad analizzare i fatti sulla lunga durata. Io sostengo invece la tesi di una Storia accidentale, costituita solamente da rotture. Lo storico François Hartog parla di “presentismo” dominante. Ma non basta, bisogna andare ancora più in là: noi viviamo nell’ ”istantaneismo”. Per capire gli incidenti bisogna studiarli, ma anche metterli in mostra. L’incidente è un’invenzione, un’opera creativa. Chi meglio degli artisti può far sentire la dimensione tragica del progresso? Di qui l’idea della mostra che ho realizzato nel 2002 - dove l’eventualità del crac delle Borse era evocata e rappresentata - che prefigurava un museo o un osservatorio dei grandi incidenti che tuttora io auspico. Non per incutere terrore, ma per imparare ad affrontarli».
Come definire, al di là del suo aspetto di sorpresa, l’incidente delle Borse?
«Come per ciascun avvenimento contemporaneo, bisogna considerare una serie di sincronie a livello mondiale. Sincronizzazione di abitudini, di costumi, di modi di reagire ma anche di emozioni. Si è passati da un consumismo di classe a una globalizzazione istantanea e simultanea di affetti, paure e persino opinioni. È accaduto con gli attentati al World Trade Center o con lo tsunami. Con le Borse è stata la stessa cosa. Dopo una breve fase tecnica - fallimento delle banche, caduta delle quotazioni - si è passati a un periodo di isteria esagerata nelle reazioni. Si è parlato di follia dei mercati, di reazioni irrazionali, quasi di attrazione per l’idea della fine del mondo. I terroristi hanno capito molto bene questo fenomeno e lo sfruttano».
Lei pensa che la finanza abbia inventato un mondo virtuale?
«La velocità fa guadagnare denaro, la finanza ha voluto imporre il valore tempo al valore spazio. Ma il virtuale fa parte anch’esso della realtà. E poi questo sedicente mondo virtuale, nel quale possiamo inglobare i paradisi fiscali, è una specie di mondo esotico che io assimilo al colonialismo, è il mito di un altro pianeta abitato».
Si può parlare di un effetto morale del crac nel senso che punisce anche quelli che guadagnavano delle fortune?
«Io non sono un giustiziere. Capisco le critiche di chi è convinto che alcuni abbiano realizzato profitti indecenti. Io non nego i danni dell’accumulazione delle ricchezze. Ma criticare questa accelerazione dei profitti e della storia, questa “avarizia galoppante”, come diceva Eugène Sue, restare nel quadro materialista del profitto è un’analisi riduttiva, insufficiente. La posta in gioco è molto più sofisticata e pesante. Noi siamo passati attraverso qualcosa che ci ha cambiato natura. Questa economia della ricchezza è diventata economia della velocità. Se lo Stato non prende le misure di questo futurismo dell’istante, potrebbe capitarci di veder nascere un capitalismo senza limiti».
Lei ha detto che Airbus, inventando un aereo per ottocento persone, ha fatto ottocento morti potenziali. Ma il crac non ha ucciso nessuno…
«Non è la peste, non ci sono milioni di vittime, e non è nemmeno l’11 settembre. Ma in questo caso non è la mortalità che conta, a parte qualche suicidio. Le vittime sono altrove. Da dove è partita la crisi attuale? Dai subprime, dalle case da acquistare a crediti contratti a condizioni impossibili. Le vittime sono le centinaia di migliaia persone che perderanno la casa. La nozione stessa di sedentarietà è già rimessa in discussione con gli immigrati, gli espulsi, i rifugiati, le imprese che delocalizzano, eccetera. Il fenomeno crescerà. Un miliardo di persone saranno costrette a cambiare luogo di residenza e di vita di qui al 2040. Ecco, loro sono le vittime».
Lei crede nel caos?
«Dopo aver destabilizzato il sistema finanziario, il crac rischia di destabilizzare lo Stato, ultimo garante della vita collettiva. In questo momento tenta di rassicurarci. Ma se le Borse continuano a perdere, è lo Stato che a sua volta andrà in fallimento e precipiterà le nazioni nel caos. Non voglio fare del catastrofismo. Non credo al peggio, non credo al caos, è assurdo, sarebbe arroganza intellettuale, ma non possiamo trattenerci dal pensarci. Di fronte alla paura assoluta, io oppongo la speranza assoluta. Churchill diceva che l’ottimista è uno che riesce a cogliere una chance dietro ogni calamità».
© Le Monde
Esperto di «dromologia»
*Paul Virilio è nato a Parigi 76 anni fa. Filosofo, urbanista, professore di architettura, esperto di «dromologia» (la scienza della velocità e dei suoi effetti nei più svariati ambiti, dalla politica all’estetica), è noto soprattutto per la sua teoria d’incidente, visto come una conseguenza ineluttabile delle innovazione tecnologiche. Al tema degli incidenti ha dedicato la mostra «Ce qui arrive», che si è tenuta nel 2002 alla Fondazione Cartier di Parigi.