Rassegna stampa

tratto da L'Arena del 18.05.2008

LA STORIA. La dottoressa Silvia Ayon, nicaraguense, dirigente della ong ProgettoMondo Mlal
«Io, straniera umiliata fra il silenzio di tutti»
«Aggredita a parole sul bus: lascia il posto a noi italiani»

«La prima volta ho pensato a un errore. La seconda a una coincidenza fortuita, al fatto di aver incontrato una donna isterica nel giorno sbagliato. Ma oggi…, oggi era difficile non capire che quel signore anziano ce l’aveva proprio con me. Che sebbene l’autobus fosse mezzo vuoto, e i posti a sedere tanti, lui voleva il "mio" posto. Perché era il posto che a suo parere spettava solo a un italiano di qui. Quindi a lui. Io insomma non "dovevo" salire su quell’autobus, "occupare" un posto. Ancora tremo dalla rabbia che sentivo crescere in me. Mi vergognavo nel provare un sentimento cattivo per un signore anziano. Ho provato a zittirlo, a chiedergli rispetto per una donna, una signora, una professionista… Inutile, l’uomo continuava a urlare che noi stranieri dobbiamo andarcene, smettere di rubare il lavoro agli altri, sparire».
Silvia Elena Ayon, nata in Nicaragua 44 anni fa, una laurea e una specializzazione in Economia urbana, dopo tanti anni a Firenze vive a Peschiera con il marito, veneto originario di Rovigo, e un figlio che frequenta la terza elementare.Venerdì mattina era arrivata in città con il treno. Poi alle 9.30 è salita sull’autobus 12 per raggiungere il suo ufficio allo Stadio. Dal luglio 2007 è coordinatrice dell’ufficio Progettazione dell’organismo di cooperazione internazionale ProgettoMondo Mlal. Scrive progetti per Unione europea, Ministero degli Esteri e altri organismi internazionali della cooperazione allo sviluppo.Silvia Ayon è una donna tutta d’un pezzo. Detesta solo il pensiero remoto di apparire debole, o che qualcuno possa non riconoscerle il massimo dell’efficienza e della preparazione.È un osso duro. «Ma non oggi», dice in un sussurro. E si capisce che se la prende con se stessa. Perché questa volta quel che è successo non l’ha trovata preparata. Per lavoro si occupa di temi legati a quello dei diritti umani. Ma nel suo lavoro le violazioni accadono in Paesi lontani, dove il cammino per la democrazia è ancora lungo, in America latina o Africa, i due continenti dove l’Ong veronese ha in fase di realizzazione per conto di finanziatori pubblici e privati 41 progetti, per 21 milioni di euro.Anche per questo, ciò che sta accadendo da qualche settimana le pare perfino incredibile. «Peschiera. Tornavo a casa. Una signora seduta di fronte a me comincia a parlar male degli stranieri. Si sa, è un po’ il tema del momento. Ma la donna parla rivolgendosi a me, mi fissa con aria di sfida. Vuole che io abbia una reazione. Ma io sono stanca, e poi il discorso non mi interessa, il dibattito sui mass media è diventato stucchevole anche per me. Ma la donna incalza. Mi indica agli altri come esemplare di "quegli extracomunitari che vengono a vivere in Italia e credono di poter fare ciò che vogliono".«Mercoledì, alle 9.30 circa, sono invece sull’autobus a Verona, linea 11. Sono di spalle e sento un colpo dietro alla nuca. L’autobus è affollato e mi sposto il possibile. Ma ecco che arriva un colpo di gomito tra le scapole, perdo il respiro per un attimo. Mi volto sorpresa, è una donna della mia età che mi sibila: "Hai capito sì o no che devi spostarti?" La guardo allibita. Penso a un’incomprensione, un momento sbagliato. Poi passa un altro giorno ed ecco che mi ricapita. Questa volta sulla linea 12. Un autobus a quell’ora praticamente vuoto. Quell’uomo sui 70 anni si avvicina a me che guardo altrove e a bassa voce dice qualcosa che non capisco. Scusi?Levati - mi dice - qui mi siedo io. E io, ingenua, penso di indicargli un altro posto poco più in là. Ma lui non vuole che "io" occupi quel posto. Mi sento gelare. Mi trovo a gridare contro di lui. Sento in me un inizio di violenza che non conosco.«Ma cosa sta accadendo? Io non voglio che questo capiti a me. Non voglio che capiti a Verona. Siamo così felici a Peschiera. Mio figlio è così contento di essere italiano. Ma l’aspetto forse più spaventoso è la facilità con cui l’uomo mi ha trattato così. E il silenzio nell’autobus. Improvvisamente scopro una cosa terribile: che tutto questo è già normalità. È possibile che questo accada senza che nessuno fiati. Ma non per paura. Per pigrizia, per assuefazione».«Mi chiedo: che sta succedendo a Verona? Oggi è toccato "persino a me" ma ogni giorno in treno vedo qualcosa di simile. Un controllore che strattona un nero perché a suo dire (poi si scoprirà che non è vero) non ha timbrato il biglietto. Se fosse stato un veronese? Due mesi fa ero con mio figlio di 8 anni. Italiano nell’aspetto e nelle generalità. Ci indicano come "stranieri". Mi sento morire. Ma stranieri a cosa?»